Basilica Sant’Antonio

Era il 13 giugno del 1231 e una leggenda dice che i fanciulli di Padova corsero per le vie della città gridando: “E’ morto il Santo! E’ morto S. Antonio: il Padre Santo! Corrette all’Arcella”, mentre a Lisbona – la città dove era nato S. Antonio – le campane di tutte le chiese suonarono da sole. I Frati e le Monache avrebbero voluto tenere segreto l’avvenimento straordinario della morte di S. Antonio, soprattutto per evitare confusione e l’inevitabile ressa di gente che sarebbe accorsa sul posto per vedere il Santo. Bisogna ricordare, infatti, che S. Antonio era popolarissimo ed amato dalla gente di Padova che già lo venerava come un santo. Ma tutte le precauzioni furono inutili! La notizia si sparse in un baleno e la gente corse in massa al Monastero della Cella. Tutti volevano vedere il Santo, ma lo spazio era poco e la ressa incontrollabile. I Borghigiani di Capodimonte, nel cui territorio era il convento, decisero di formare dei gruppi di guardia, sia per contenere la folla, sia per impedire che qualcuno cercasse di trasportare altrove il corpo di S. Antonio. Infatti molte altre contrade della città avrebbero voluto poter possedere la preziosa reliquia. Dopo cinque giorno di contese tra gli abitanti del Borgo di Capodiponte ed il Podestà Stefano Badoer, il corpo del santo – per ordine del Vescovo di Padova Jacopo Corrado – fu trasportato e definitivamente sepolto a S. Maria “Mater Domini”, seguendo il suo desiderio.

Ben presto furono registrati molti fenomeni miracolosi sulla sua tomba ed iniziarono ad arrivare pellegrini prima dalle contrade vicine e poi anche da altre città. Le varie componenti della cittadinanza di Padova (comune, vescovo, professori dell’Università, ordini religiosi e popolo) chiesero congiuntamente di innalzare Antonio all’onore degli altari. Il processo canonico si svolse in tempi molto brevi: nella cattedrale di Spoleto il 30 maggio 1232 il papa Gregorio IX lo nominò santo. Quindi, ad un anno dalla morte del santo, si decise di porre mano alla chiesetta di santa Maria e di erigerne una nuova, proporzionata all’esigenza di ricevere ed ospitare i gruppi di pellegrini; l’antica chiesetta formò il nucleo da cui partì la costruzione della basilica e tuttora è inglobata come cappella della Madonna Mora.

La Pontificia Basilica Minore di Sant’Antonio di Padova fu iniziata nel 1232, un anno dopo la morte del Santo, ed è uno dei principali luoghi di culto cattolici della nostra città. Conosciuta dai padovani semplicemente come il Santo, è una delle più grandi chiese del mondo ed è visitata annualmente da milioni di pellegrini, che ne fanno uno dei santuari più venerati del mondo. Dal 2021 è inclusa dall’UNESCO tra i patrimoni dell’umanità nel sito dei cicli di affreschi del XIV secolo. La vasta costruzione presenta nella sua complessa struttura una caratteristica fusione di stili: elementi romanici nella facciata, gotici nella pianta del deambulatorio con le sette cappelle, bizantini nelle otto cupole rivestite in piombo e moreschi nei due campanili sottili e slanciati.

La facciata si presenta a capanna, è alta 28 m circa ed è larga 37 m circa, con cinque arcate rientranti. Il portale centrale si amalgama con la grande opera di Andrea Mantegna inserita nella lunetta, che raffigura Sant’Antonio e san Bernardino da Siena che adorano il monogramma di Cristo. In realtà si tratta di una copia realizzata da Nicola Lochoff, l’affresco originale, staccato, si conserva nel vicino convento. Nella parte alta, all’interno della nicchia, si può vedere la Statua in pietra di sant’Antonio, copia fatta nel 1940 da Napoleone Martinuzzi per sostituire l’originale trecentesco di Rinaldino di Francia, molto deturpato dagli anni e dalle intemperie ed ora conservato nel Museo Antoniano. 

Le tre porte di bronzo furono realizzate seguendo il disegno progettuale di Camillo Boito (1895),  nella parte centrale si notano quattro tabernacoli con figure in bassorilievo di quattro Santi francescani: San Francesco, Sant’Antonio, San Bonaventura e San Lodovico vescovo di Tolosa. Esse si evidenziano da nicchie tardo gotiche filtrate da un gusto barocco. All’opera partecipò il fonditore veneziano Giuseppe Michieli.

Pianta della basilica - Leggenda

 

  1. Sagrato
  2. Interno – Retrofacciata
  3. Altare di San Bernardino
  4. Madonna del Pilastro
  5. Altare di S. Massimiliano Kolbe
  6. Cappella di Sant’Antonio
  7. Cappella della Madonna Mora
  8. Cappella del Beato Luca
  9. Ambulacro di destra e cappelle dell’abside
  10. Cappella di san Francesco
  11. Cappella delle Reliquie
  12. Ambulacro di destra e cappelle dell’abside
  13. Cappella delle Benedizioni
  14. Cappella di san Giacomo
  15. Cappella del SS.mo Sacramento
  16. Navata Centrale
  17. Presbiterio – Altare Maggiore
  18. Uscita Convento e Chiostri

L’interno è a croce latina, suddiviso in tre navate da pilastri. L’area delle navata centrale copre uno spazio molto ampio, delimitato da una serie di pilastri a destra e sinistra, ricoperti da numerosi monumenti funebri che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII e che rappresentano un interessante spaccato della vita civile e culturale della città e della Repubblica di Venezia in quei secoli. E’ lunga 118 metri, larga 32,50, alta 38,50 metri; con i campanili raggiungono un’altezza di 68 metri.

All’inizio del Trecento i lavori di decorazione furono affidati a Giotto che affrescò, entro il primo decennio del secolo, la cappella oggi detta delle Benedizioni, la Cappella della Madonna Mora e la sala Capitolare del Convento. Si susseguirono poi committenze ad altri grandi artisti del Trecento, quali Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi nella cappella di San Giacomo, e Giusto de’ Menabuoi nella cappella Belludi.

Appena entri in Basilica ci accoglie il materno sorriso della Madonna del Pilastro, una delle più antiche immagine mariana. È chiamata anche Madonna dell’immacolata o degli Orbi, perché qui vi si radunavano i ciechi (esisteva infatti a Padova sin dalla metà del Trecento una confraternita di ciechi che aveva come patrona la Vergine Immacolata). Fu realizzata prima del 1350 da Stefano da Ferrara e collocata all’interno del primo altare addossato al pilastro, fatto costruire nel 1413 per volontà di Folcatino Buzzacarini, parente dei Carraresi. L’immagine della Madonna e del Bimbo è raffigurata con il capo cinto d’auree corone, ricche di pietre preziose e con una veste rosa per Maria e azzurra per il Bimbo, ricamate con disegni dorati. Al dipinto furono successivamente aggiunti San Giovanni Evangelista che stringe con la mano destra il Vangelo e San Giovanni Battista che indica con la mano destra Gesù, opera realizzata da Filippo Lippi, artista della cerchia di Altichiero da Zevio ed infine nel Seicento due angioletti inginocchiati che sollevano una corona che scende sul capo, realizzati da Giambattista Bissoni. L’altare fu rinnovato nel 1472 ad opera di Giovanni Minello ed infine ristrutturato nelle forme attuali per commissione della famiglia Cumani.

Sulla controfacciata troviamo un grande affresco di Pietro Annigoni, terminato nel 1985, raffigurante S. Antonio che predica dal noce, in cui il Santo indica il vangelo come fonte di luce e vita. Si tratta di una scena che si è svolta a Camposampiero, dove tra i rami dell’antico noce fu costruita una piattaforma con sedile e tavolino, una specie di verandina dove il frate saliva per pregare e riposare.

Il primo altare sulla parete della navata sinistra risale al Seicento; ora è dedicato a San Massimo Kolbe, francescano conventuale polacco, martire dei lager. Vi si ammira la pala di Pietro Annigoni (1981): il santo sale ormai beato verso l’incontro con l’Immacolata, mentre in basso se ne intravede il cadavere scheletrico nell’orrore del bunker della fame d’Auschwitz.

In corrispondenza del transetto si apre la Cappella dell’Arca, che conserva i resti mortali del Santo in un’arca-tomba, chiusa da una grande lastra di marmo verde. La tomba fu qui collocata dopo essere stata dal 1231 al 1263 nella chiesa Santa Maria Mater Domini (Oggi Cappella della Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto l’attuale cupola conica. Il sarcofago originario funge da mensa d’altare sopraelevata, si accede da una scalinata con balaustre, arricchite di esuberanti elementi decorativi e scultorei. La tomba è più visibile dal lato posteriore, aprendo un cancello posto nella parte inferiore, si possono vedere quattro sezioni di colonne in marmo Proconnesio (due con collarino, due senza) alte un metro circa, che sostengono il sarcofago, la cui base è costituita da una lastra di marmo Rosso di Verona.

Qui ogni giorno dell’anno accorrono numerosi devoti che sostano per pregare, appoggiando la mano o la fronte sulla pietra, o chiedono una grazie. Su una piccola parete ci sono i ricordi, fotografie, ex-voto e relitti d’infermità che testimoniano la perenne presenza del Santo in mezzo ai dolori dell’umanità.

L’intera Cappella è un’importante scrigno di opere d’arte, il suo aspetto attuale è quello assunto tra la fine del XV e il tardo XVI secolo, quando la cappella e l’arca-altare del santo in essa contenuta vennero definitivamente risistemate in un complesso architettonico e scultoreo che è riconosciuto come uno dei capolavori del rinascimento del veneto. La facciata, come tutto il perimetro della cappella, è scandita da archi a tutto senso sostenuti da eleganti colonne. Nei pennacchi, tra le volte degli archi,si stagliano i busti degli evangelisti. Al cento, la scritta dedicatoria in latino: Divo Antonio Confessori Sacrvm Rp Pa Po (Sacro al divino Antonio confessore – La Repubblica padovana pose). Nella facciata più alta dell’attico, cinque nicchie ritmate da paraste contengono statue dei santi patroni di Padova: Giustina, Giovanni Battista, Antonio, Prosdocimo e Daniele.

L’interno della cappella riprende la scansione architettonica, i fregi e gli ornamenti della facciata; la parte superiore è una suntuosa volta a botte con lunette, ornata con stucchi dorati. I busti nel pennacchi raffigurano i dodici profeti, mentre le lunette della volta l’Eterno Padre e gli apostoli. Al centro del soffitto vi è un nastro serpeggiante tra fregi e ghirigori, con la scritta che si può tradurre cosi: Gioisci, Padova fortunata, giacché possiedi un tesoro.

Questa nuova cappella fu infatti voluta proprio per sostituire quella trecentesca ritenuta ormai poco consona all’importanza del Santo. Qui vi hanno lavorato i maggiori scultori veneti del Rinascimento padovano, tra cui Gian Maria Falconetto, Giovanni Minello, Jacopo Sansovino e Tullio Lombardo. I due angeli portacero collocati sulla balaustra e le statue in bronzo collocate sull’altere sono di Tiziano Aspetti e raffigurano S. Antonio tra S. Bonaventura e S. Ludovico d’Angiò. Il tabernacolo e due cartegloria in lamina di argento sbalzato sono state realizzate dall’orafo veneziano Antonio Fulici. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento vennero collocati i due magnifici candelabri in argento massiccio realizzati dal veneziano Giovanni Balbi, alti ciascuno oltre due metri. 

Lungo le pareti sono disposti nove rilievi marmorei, aventi per soggetto i miracoli di sant’Antonio, ad esclusione del primo che narra l’episodio della vestizione del santo con l’abito francescano. Questi stupendi quadri marmorei sono alti più di quattro metri, ai quali si aggiunge la lunetta con incisi palazzi e fortezze generici, la Basilica di Sant’Antonio e il Palazzo della Ragione.

Partendo da sinistra troviamo:

  • Vestizione di s. Antonio, opera realizzata da Antonio Minello nel 1505. Il riquadro mostra il giovane canonico agostiniano Fernando a Coimbra inginocchiato mentre riceve il saio francescano e il suo nuovo nome, Antonio. Sul lato sinistro è circondato dai frati; le figure sul lato destro rappresentano la sua famiglia o altri notabili.
  • Il marito geloso che pugnala la moglie, opera iniziata dal padovano Giovanni Rubino, tra il 1524 e il 1529, e completato da Silvio Cosini tra il 1534 e il 1536. Questa scena drammatica rappresenta un marito, di nobile famiglia, reso folle dalla gelosia. Le fonti raccontano che la moglie, irreprensibile, cercò di opporsi al marito il quale reagì percuotendola con pugni e calci. Il rilievo lo raffigura mentre sta per pugnalarla con un coltello ed è trattenuto da familiari e domestici. La storia narra che subito dopo, addolorato e pentito per il suo comportamento, l’uomo pregò sant’Antonio di venire a lenire le ferite della moglie. E il Santo intervenne.
  • Antonio risuscita un giovane, opera iniziata da Danese Cattaneo, allievo del Sansovino, nel 1572, venne completato nel 1577 da Gerolamo Campagna. Alla base troviamo l’immagine del cardinale Bartolomeo Dall’Olio, opera di Giovanni Minello (1502). Qui si vede sant’Antonio mentre risuscita un giovane assassino. Pare che questo miracolo sia avvenuto a Lisbona, dove il padre stesso del Santo fu accusato di questo crimine. Si dice che Antonio fu miracolosamente trasportato da Padova in Portogallo dove risuscitò il morto, il quale testimoniò discolpando completamente la sua famiglia. Anche se la storia ha alcuni tratti leggendari, è possibile che si basi su un fatto realmente accaduto.
  • Risurrezione di una giovane annegata, l’opera fu commissionata nel 1536 a Jacopo Sansovino ma venne completata solamente nel 1563. La scena narra la vicenda di una giovane donna che giace morta, o morente, circondata dalla sua famiglia e da persone addolorate.
  • Antonio risuscita un bambino annegato, l’opera fu iniziata da Antonio Minello tra il 1520 e il 1528, ma venne completato da Jacopo Sansovino nel 1536. La scena raffigura la storia di Parisio, il nipotino di Antonio, annegato in un incidente in barca sul fiume Tago e tirato in riva dalla rete di un pescatore. Ci sono molteplici versioni di questa vicenda, ma il tratto comune è il fatto che la sorella di Antonio invocò il fratello (dopo la sua morte, ormai dichiarato santo), promettendo che se il bimbo fosse ritornato in vita avrebbe desiderato per lui la vocazione francescana. La sua preghiera fu esaudita, e negli anni seguenti il figlio stesso raccontò la storia del suo salvataggio.
  • Miracolo del cuore dell’usuraio, opera realizzata da Tullio Lombardo nel 1525. Raffigura la storia di un ricco usuraio morto che doveva essere sepolto. Sant’Antonio dichiarò che costui non meritava una sepoltura cristiana, dato che il suo cuore si trovava in una cassaforte. La leggenda narra che la salma dell’avaro fu ispezionata e trovata priva di cuore. Fu aperta anche la cassaforte dell’usuraio e, secondo la predicazione del Santo, lì fu trovato il cuore. Anche se, nel corso della narrazione, la storia è stata arricchita, essa si basa saldamente sull’insegnamento del Signore: “Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”.
  • Miracolo del piede reciso e riattaccato, opera realizzata da Tullio Lombardo nel 1525. Un giovane in preda a un attacco d’ira, prese a calci sua madre. Essendosi pentito, si ricordò delle parole del Signore: “Se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo”, e quindi si tagliò il piede con un’accetta. Andarono a chiamare il Santo che arrivò subito e, dopo aver riattaccato l’arto mozzato, si rivolse alla madre sconvolta ricordando che il Signore preferisce la misericordia al sacrificio.
  • Il bicchiere scagliato in terra e rimasto intatto, opera realizzata dal padovano Gian Maria Mosca in collaborazione con il milanese Pietro Paolo Stella, compiuto tra il 1520 e il 1529. Un nobile cresciuto in una setta di eretici venne a vivere a Padova, dove gli furono raccontati i miracoli avvenuti alla tomba del Santo. Con aria di sfida, bevve sino all’ultima goccia il contenuto del suo calice di vetro e disse: “Se Antonio riuscirà ad evitare che si frantumi, crederò che è un santo”. Poi lanciò il calice sul selciato di pietra, ma questo, invece di infrangersi, rimase intatto. Scosso nel suo scetticismo, il nobile divenne un cattolico esemplare.
  • Un neonato attesta l’onestà della madre, opera realizzata da Antonio Lombardo, fratello minore di Tullio, venne completato nel 1505 e fu il primo altorilievo a essere collocato nella Cappella. Un marito geloso, sospettando la moglie di tradimento, si rifiutò di riconoscere suo figlio. La moglie angosciata si rivolse a sant’Antonio chiedendogli aiuto. Egli prese in braccio il neonato e gli ordinò nel nome di Cristo e di Maria di indicare chi fosse il suoi vero padre. Il bimbo parlò a voce chiara, come se fosse un ragazzo di dieci anni, e guardando il marito della donna disse: “Questo è mio padre”. Il Santo invitò quell’uomo ad accettare il proprio figlio e ad amare la propria irreprensibile moglie.

Proseguendo il cammino si entra nella Cappella della Madonna Mora che prende il nome dal colore che aveva la statua policroma in marmo della Madonna, prima dei restauri avvenuti nel 1852. Ci troviamo nell’ambiente dell’antica chiesetta di S. Maria Mater Domini, edificata nel 1100 e restaurata nel 1229 dal Vescovo Jacopo Corrado, poi demolita nel 1232, un anno dopo la morte del Santo. Tra questi taciti muri il Santo celebrava la Messa, confessava, predicava, e soprattutto ascoltava e parlava con Dio nei giorni più infiammati della sua vita da apostolo.

L’altare è formato da un baldacchino in perfetto stile gotico con cuspidi, retto da quattro agili colonnine e ornato da sculture. Sulla punta della ghimberga troviamo il Padre eterno, sui pinnacoli anteriori l’Angelo annunciante e la Madonna, nel  timpano Cristo morto, nei pulvini gli angeli con gli strumenti della passione e nei pinnacoli posteriore troviamo San Giovanni Battista e la Maddalena.

Il tabernacolo racchiude come in uno scrigno l’immagine della Vergine con il bambino in braccio, opera realizzata in pietra policroma e attribuita a Rinaldino Puydarrieux ed alla sua bottega (1396). Sullo sfondo è presente un affresco con il Profeta Isaia, il re Davide ed angeli, opera attribuita al maestro Giotto. Purtroppo questi affreschi sfuggono alla vista perché l’altare è protetto da una pesante grata dorata che fu costruita per custodire i numerosi oggetti di valore che un tempo ornavano la statua.

Foto di Andrea Di Mari
Foto di Andrea Di Mari
Foto di Andrea Di Mari
Foto di Andrea Di Mari

La Cappella del Beato Luca Belludi fu edificata all’interno della Basilica del Santo tra il 1380 ed il 1382 per volere dei fratelli Manfredino e Naimerio Conti, familiari dei Carraresi. La cappella è, a dire il vero, dedicata agli apostoli Filippo e Giacomo il Minore. Ha preso il nome con cui è nota ora perché vi sono conservate le spogli mortali del beato Luca Belludi, che fu compagno del Santo nell’ultimo scorcio della sua vita. La cappella è composta da un’unica navata con volta a crociera e da una piccola abside semiottagonale coperta da una volta a padiglione. Al centro troviamo l’altare composto da un’arca su colonne, accessibile per mezzo di una piccola scalinata balaustrata di cinque gradini, al cui interno sono custodite le spoglie del beato Luca Belludi. Sulle pareti, affrescate da Giusto de’ Menabuoi, si possono ammirare ben 68 affreschi che furono eseguiti verso il 1382. Gli affreschi, in buona parte deteriorati, sono stati in buona parte rifatti dal Sandri nel 1786 e più volte restaurati.

Al cento troviamo una delle opere più apprezzate, la Vergine in trono con Gesù bambino tra san Francesco e san Ludovico d’Angio, che presentano Naimerio, e tra sant’Antonio ed il beato Luca, che presentano Manfredino. In due comparti contigui compaiono, a destra della Madonna, San Giacomo presenta Margherita Capodivacca consorte di Naimerio accompagnata dai figli, mentre a sinistra San Filippo con Prosdocimo e Artusio, figli di Manfredino. Appena sopra, sotto il piccolo rosone della cappella, vi è la Annunciazione, mentre nelle vele, entro dei tondi, sono presenti Cristo con libro aperto, san Giacomo minore con calice ed ostia e san Filippo con turibolo e navicella. Ai fianchi dell’altare si possono ammirare due affreschi legati alla vita del beato Luca: a sinistra vi è Sant’Antonio appare a Luca in preghiera e gli preannuncia la liberazione di Padova, mentre a destra Folla di devoti e sofferenti intorno alla tomba del beato, che da cielo intercede per loro. Il primo affresco è molto interessante perché c’è un’immagine della città di Padova come appariva verso la fine del XIV secolo. Negli altri scomparti della cappella sono dipinti, seguendo la Legenda Aurea, alcuni episodi della vita degli apostoli Filippo e Giacomo. Nella lunetta sopra la finestra, a sinistra dell’abside si vede San Filippo disputa con gli eretici; in alto San Filippo nel tempio di Marte uccide il drago e risuscita i morti; in basso Crocifissione di san Filippo. Invece nella lunetta a destra abbiamo San Giacomo riceve la comunione da Cristo risorto; nella lunetta della parete San Giacomo predica al popolo di Gerusalemme; più sotto San Giacomo libera un mercante ingiustamente imprigionato e soccorre un pellegrino che aveva smarrito la via, mentre nella lunetta sopra l’arco di entrata vi è il Martirio di san Giacomo.

Più sotto, ai lati dell’entrata vi sono i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, il primo rappresentato con aspetto giovanile, mentre il secondo come un vegliardo. Nelle vele sono raffigurati i Quattro evangelisti, mentre negli archinvolti e in tutte le altre superfici non ancora affrescate il maestro ha inserito le immagini dei Progenitori di Cristo, come riportato nel Vangelo secondo Matteo. Ogni personaggio tiene un cartiglio dove viene indicato sia il nome che la paternità.

Il beato Luca Belludi é protettore degli studenti universitari di Padova.

Le navate laterali continuano nell’ambulacro che gira tutt’intorno al presbiterio e al coro. Qui troviamo nove Cappelle radiali dette pure “Cappelle nazionali”, perché anticamente erano officiate, curate dai devoti delle varie nazioni.

1) Cappella di S. Giuseppe, fu affrescata da Antonio Ermolao Paoletti (1896) con scene che raffigurano a sinistra la Morte di San Giuseppe e sopra San Gioacchino, mentre a destra La fuga in Egitto e sopra sant’Anna. Sopra l’altare è stata collocata una statua di Leonardo Liso (1895). In origine era dedicata a san Giovanni evangelista. Sono presenti alcune lapidi relative a membri della famiglia Orsato, che fu la patrona della cappella.

 2) Cappella di S. Francesco o Cappella italiana. In origine la cappella era dedicata a Santa Chiara, venne dedicata a San Francesco ne 1926, in occasione del settimo centenario francescano. La volta e le pareti furono affrescate tra il 1642 ed il 1646 da Lorenzo Bedogni che affrescò anche la pala dell’altare purtroppo scomparsi. Gli affreschi che vediamo oggi sono di Adolfo de Carolis (1928), mentre le pareti e l’arco d’ingresso sono di Ubaldo Oppi (1939). Sull’altare è stata collocata una statua in bronzo di San Francesco, realizzata nel 1928 da Aurelio Mistruzzi.  Nelle Vele son raffigurate: Obbedienza, Castità, Povertà, Crocefisso in veste di Serafino. Nelle lunette vi sono: San Francesco in preghiera davanti al Crocifisso, San Francesco che riceve le stimmate, Cristo in trono tra sant’Antonio e Bonaventura. Lungo le pareti sono dipinte storie francescane, suddivise in registri superiore ed inferiore; Nella parte superiore possiamo vedere San Francesco sposa la Povertà; Il Presepe di Greccio;  La Predica agli Uccelli; San Francesco e il lupo; Fondazione dei Frati Minori; Papa Onorio III approva la regola del nuovo ordine. Nella parete inferiore possiamo vedere Capitolo delle stuoie; San Francesco appare a Sant’Antonio nel capitolo di Arles; Sant’Antonio viene incaricato di insegnare teologia; San Francesco fonda il convento dell’Arcella a Padova; Fondazione delle Clarisse; Fondazione del Terz’Ordine francescano. Sull’arcone d’ingresso sono stati rappresentati alcuni santi e beati dell’Ordine Francescano. Sui piedritti si vedono il frate Alessandro di Hales ed il beato Duns Scoto, mentre nell’intradosso sono presenti i beati Giacomo Ongarello, Bartolomeo da Pisa, Odorico da Pordenone, Luca e Monaldo da Capodistria. Sulla parete destra è presente il Monumento funebre a Cassandra Mussato, fatto erigere dal marito Pietro Gabrieli nel  1506. L’opera è attribuita ad Andrea Briosco detto il Riccio.

3) Cappella di S. Stanislao o polacca. In origine la cappella era dedicata a San Bartolomeo. Anche questa cappella fu riaffrescata dal pittore Taddeo Popiel da Leopoli (1899).  Partendo da sinistra possiamo ammirare: San Stanislao resuscita un morto; San Stanislao trucidato e fatto a pezzi; Il corpo di san Stanislao vigilato e protetto dagli sparvieri. Nelle lunette compaiono la Madonna di Ostrabrama e la Madonna di Czestochowa, mentre sopra le finestre vi sono Angeli osannanti. A completamento delle decorazioni vi sono raffigurazioni di Santi e sante della nazione polacca. L’altare della cappella è opera di Camillo Boito. Sulla parete di sinistra compare il Busto in bronzo di re Giovanni III Sobieski opera risalente al 1905 dello scultore polacco Antonio Madeyski, mentre a destra vi è il Busto in bronzo di Erasmo Kretkowski, diplomatico e viaggiatore polacco, morto nel  15587. L’opera si deve allo scultore Francesco Segala, mentre l’iscrizione è dello scrittore polacco Giovanni Kochanowski. Vi sono anche altre lapidi, tra cui merita una menzione quella della principessa Carolina Jablonowska, morta nel 1840,  con bassorilievo neoclassico di Luigi Ferrari.

4) Cappella di S. Leopoldo o austro-ungarica. In origine era dedicata a san Giovanni Battista. L’altare ligneo è un lavoro di Ferdinand Stuflesser, proveniente dalla Val Gardena, mentre gli affreschi sono del bavarese Gherardo Fugel (1905). A destra possiamo vedere: Santa Elisabetta d’Ungheria; San Girolamo e san Giovanni Kanty. A sinistra: San Leopoldo; San Adalberto e san Giovanni Nepomuceno. Nelle lunette vi sono la Immacolata e San Giuseppe, mentre sopra la finestra della cappella compare l’Annunciazione, con ai lati i Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi. Nella cappella vi sono anche alcuni sepolcri risalenti al Trecento, tra cui il Sarcofago dei fratelli Aicardino e Alvarotto degli Alvarotti, il primo deceduto nel 1383 ed il secondo nel 1389, entrambi celebri giureconsulti dello studio padovano. La struttura è caratterizzata da sei colonnine tortili ad arcatelle; al centro compare l’Agnello mistico, mentre ai lati vi sono due agnelli e due croci. Probabilmente è stato riutilizzato un precedente sepolcro dell’XI secolo. Sulla vetrata, in alto, si possono vedere gli stemmi di Austria e Ungheria. Di fronte è presente il semplice Avello di Biancofiore da Casale, moglie di Paganino Sala, della seconda metà del Trecento.

5) Cappella delle Reliquie o del Tesoro è il punto culminante di ogni pellegrinaggio e di ogni visita alla Basilica di Sant’Antonio. E’ detta cosi perché custodisce il tesoro delle Reliquie del Santuario. Fu eretta verso la fine del Seicento sul luogo dove prima si levava la Cappella delle S. Stimmate. Nei suoi marmi pluricolori, negli stucchi, nelle statue di marmo vellutato, nei sontuosi ornati essa è tutta un inno di gloria a S. Antonio e di riconoscenza per la sua mirabile intercessione. Mentre tutta la Basilica è in stile gotico-bizantino, questa Cappella è del più florido stile barocco. Fu progettata dall’architetto scultore Filippo Parodi, genovese, allievo del Bernini, che realizzò anche il gruppo marmoreo che rappresenta il Santo in gloria circondato da vari angeli festanti (sulle tre nicchie), gli angeli portacero (in basso) e le sculture della balaustra (da sinistra: S. Francesco, la Fede, la Penitenza, l’Umiltà, la Carità, S. Bonaventura).

Qui troviamo le reliquie più importanti racchiuse all’interno di tre nicchie.

Nella nicchia di sinistra: 1) Sasso che servì da guanciale al Santo 2) Bimbo in argento donato al Santo per grazia ricevuta 3) Bicchiere scagliato a terra da Aleardino, che voleva così mettere a prova la santità di Antonio, e rimasto intatto 4) Bastone di comando del condottiero Erasmo Gattamelata 5) Dente di S. Antonio.

Nella nicchia centrale: 1) Nello splendido reliquiario è conservata la lingua di S. Antoni, incorrotta dopo più di 700 anni. 2) Reliquiario del Mento del Santo, a forma di busto, scintillante di pietre preziose.  Pezzo di tonaca del Santo. Cilicio del Santo. Spine della corona del Signore. Ciocca di Capelli del Santo.

Nella nicchia di destra: 1) In basso si possono osservare tre lettere, scritte di propria mano da S. Giuseppe da Copertino, S. Vincenzo de’ Paoli, S. Alfonso de’ Liguori. 2) Frammento della Santa Croce di Cristo. 3) Dito di S. Antonio. 4) Pezzo di tonaca di S. Bernardino da Siena, che predicò più volte in questa Basilica. 

Dopo l’ultima ricognizione dei resti mortali del Santo (1981) vi sono stati collocati la cassa usata per il funerale del Santo, con all’interno quella più piccola usata da S. Bonaventura per riporre i resti durante la prima ricognizione. Alle pareti i drappi che ne rivestirono la prima bara e, in una povera teca, il tessuto rosso che avvolse le venerate reliquie per cinque secoli. Al centro una vetrina con la tonaca indossata dal Santo l’ultimo giorno e con la quale fu sepolto.

Inizialmente le ossa del Santo furono custodite in un’urna di marmo posta nella parete centrale della chiesa in direzione della cupola maggiore. Durante la terza Traslazione, avvenuta tra il 14 o il 15 febbraio del 1350, il mento fu collocato in questo prezioso reliquiario dorato che fu donato del cardinale Guido de Boulogne. Il cardinale si sentiva in obbligo nei confronti del Santo Taumaturgo infatti fu guarito da una forma gravissima di artrosi e dalla peste. Trovandosi di passaggio nella città patavina, commissionò ad un orefice padovano il prezioso reliquiario per porvi, lui stesso, l’osso mandibolare di Antonio.

6) La Cappella di S. Stefano in origine era dedicata a san Ludovico di Tolosa. Gli affreschi furono iniziati dal maestro Ludovico Seitz e furono completati da Biagio Biagetti tra il 1907 ed il 1908. Sulla volta della cappella vi sono Mosè, Giuda Maccabeo, san Girolamo e san Giovanni Crisostomo. Sulla parete sinistra compare il Martirio di santo Stefano, mentre a destra la Conversione di Saulo. Sulla parete di fondo compaiono due affreschi, a sinistra la Disputa di santo Stefano, mentre a destra Anania e san Paolo. L’altare è sempre opera del Biagetti, mentre la statua in bronzo è lavoro di Lodovigo Pogliaghi del 1915, fatta sul modello dei bronzi donatelliani presenti sull’altar maggiore. Sull’intradosso dell’arco vi sono affreschi con Figure di santi, molto deteriorati e risalenti alla seconda metà del XIV secolo.

7) La Cappella di S. Bonifacio o germanica, un tempo la cappella era dedicata ai santi Prosdocimo e Giustina, sotto il patronato della famiglia Capodilista, ma ora è intitolata a san Bonifacio, evangelizzatore della Germania. Sulla vetrata si possono infatti ammirare gli stemmi delle regioni cattoliche tedesche.

8) La Cappella americana è dedicata a santa Rosa da Lima, anche se in precedenza era dedicata a sant’Agata. Gli affreschi sono di Biagio Biagetti, realizzati tra il 1913-1914 e rappresentano, sulla parete dell’altare, l’Annunciazione; a destra un trittico con Santa Rosa tra Castità e Povertà e a sinistra Santa Rosa tra Europa ed America. Sopra l’altare vi è la statua in bronzo di santa Rosa, opera di Aurelio Mistruzzi, firmata e datata 1924. Alla parete di sinistra compare l’arca funeraria su mensole con statua giacente di Angelo Buzzacarini, professore di diritto all’Università, morto nel 1486. L’autore del sepolcro è uno scultore di nome Lorenzo. Nel moderno piccolo coro, degni di nota sono due postergali adintarsio, unici superstiti del grande coro di Lorenzo Canozi. Le figure di santi affrescate nell’arco d’ingresso sono del XIV secolo. Appena fuori, sopra il confessionale, si vede il Monumento a Matija Ferkic, religioso del convento antoniano, per sette lustri professore di teologia scotista all’Università, morto nel 1669. È incorniciato da un affresco coevo, che raffigura l’Immacolata tra due figure.

9) La Cappella delle Benedizioni era dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, martire e patrona dei filosofi. Sulla parete di fondo dove si trovano quattro Episodi della vita di santa Caterina di Alessandria e santa Angela Merici; è presente, inoltre, un’Annunciazione; sono tutte opere di Giuseppe Cherubini, pittore del XX secolo. A destra compare l’Arca funeraria della famiglia Zabarella, risalente al XIV secolo. La famiglia era la patrona della cappella. Sulla parete di sinistra è presente la Predica di sant’Antonio ai pesci (1981) e su quella di destra Incontro di sant’Antonio con Ezzelino (1982), due grandi affreschi di Pietro Annigoni, come suo è la grande pala del Crocifisso (1983) che domina l’altare. Sul sottarco di entrata sono visibili dei pregevoli affreschi della prima metà del Trecento; secondo alcuni storici dell’arte, in particolare Francesca d’Arcais, sono da attribuire a Giotto o comunque a qualche suo stretto collaboratore.

Sulla parete destra della navata centrale, all’altezza dell’altare, vi è un dettaglio che forse in pochi hanno notato, si trova la Madonna delle Messe. Era il 25 marzo 1749 quando un grosso incendio devastò la Basilica del Santo: si fusero persino le campane della chiesa, che colarono il piombo all’interno del luogo sacro, rovinando e offuscando le opere  d’arte li riunite. Nonostante i segni indelebili per la caduta di materiale incandescente, questa bellissima Madonna in trono tra i Santi Felice II e Caterina d’Alessandria è tornata all’antico splendore nel 2016 grazie al sostegno del Lions Padova Host. Viene chiamata Madonna delle messe perché è collocata sopra il banco dove si prenotano le messe, ma viene chiamata anche Madonna della musica, perché durante la pulizia, sotto uno strato di intonaco nero, è venuta alla luce la cornice originale, con putti alati e strumenti musicali (probabilmente il committente era un musicista).Il dipinto, attribuito a Filippo da Verona, artista attivo al Santo nei primi anni del Cinquecento. Al disopra dell’affresco si trova un meraviglioso orologio astrale che batte le ore due volte all’ora, utile per cadenzare la vita dei religiosi. Venne realizzato da Bartolomeo Ferracina da Bassano del Grappa in sostituzione di quello che fu distrutto nell’incendio del 25 marzo 1749. L’attuale risale all’anno 1759. Il meccanismo dell’orologio è collocato nel sottotetto. L’orologio si presenta con una sola lancetta, quella delle ore, al centro del girotondo, costituito dai segni zodiacali, compare un sole sorridente. Sotto due angeli mostrano la scritta “sicut in caelo et in terra” cioè “sia fatta la sua volontà in cielo come in terra” . Nella parte altra troviamo il Dio Creatore, ai suoi lati si scorgono la luna e la terra. Di fianco all’orologio in un angolino il pittore Casanova ha scritto altri quattro esametri inseriti in un ristrettissimo riquadro su nove righe irregolari, i versi dovrebbero dirci ” dilegua fugace l’ora mentre aggira silenziosamente la terra e ammonisce che in breve tempo tutte le cose create periranno”.

Proseguendo il cammino si entra nella Cappella di san Giacomo, oggi chiamata Cappella di san Felice. Inizialmente era dedicata a san Giacomo ma nel 1503 vennero quivi traslate le reliquie di papa Felice II e perciò la cappella venne dedicata a lui. Fu eretta nel 1376 dall’architetto veneziano Andriolo de Santi, e dipinta dal veronese Altichiero da Zevio e dal bolognese Jacopo Avanzi. La decorazione pittorica venne commissionata dal Marchese Bonifacio Lupi di Soragna, cavaliere di Parma ed ambasciatore dei signori Da Carrara a Bologna e presso la Corte di Luigi il Grande d’Ungheria. (San Giacomo è il protagonista del ciclo decorativo della Cappella perché patrono dei Cavalieri).

La facciata della cappella è costituita da 5 archi acuti trilobati, con sottili colonne dal capitello corinzio. Troviamo poi rose a rilievo e cornici a torciglione dove sono collocate, in nicchia, le statue di San Pietro, San Michele Arcangelo, San Giacomo, San Paolo e San Giovanni Battista poste sull’apice dell’arco e con una decorazione marmorea bianca e rossa a ventagli che riprende nelle tarsie i colori delle  decorazioni realizzate nel pavimento. 

L’interno è coperta da tre volte a crociera, di cui la centrale è leggermente più ampia: le vele sono dipinte di azzurro, a fingere un cielo stellato, e al centro recano quattro tondi, più uno all’incrocio dei costoloni. Anche gli archi che separano le volte sono decorati da figure. Nella volta a sinistra prendono posto i Profeti; in quella al centro i simboli degli Evangelisti; in quella a destra i Dottori della Chiesa. L’arco di sinistra presenta dieci Profeti, quello di destra dieci Apostoli. Gli affreschi corrono lungo due fasce, una superiore, costituita dalle lunette tra le vele della copertura, e una inferiore sulle tre pareti. Le lunette della parte superiore della cappella, in tutto otto, presentano Storie della vita di San Giacomo Maggiore, secondo la narrazione che ne fece Jacopo da Varagine nella sua notissima Legenda Aurea. Nella parte inferiore, la cui parete di fondo è divisa da cinque archi acuti, troviamo altre storie che raffigurano: Disputa tra san Giacomo e Fileto e magie di Ermogene; Battesimo di Ermogene;  Martirio di san Giacomo; Arrivo del corpo del santo al castello di Lupa in Spagna e seppellimento del santo;  I Discepoli davanti al re di Spagna e poi incarcerati; Liberazione e inseguimento dei Discepoli;  Miracolo dei tori indomiti e Arrivo del corpo del Santo al castello di Lupa;  Battesimo di Lupa e consacrazione del santuario;  Sogno di re Ramiro, Consiglio della corona e Battaglia di Clavijo; La Crocifissione.

La scena della Crocifissione occupa tutta la parete di fondo, ed è l’elemento predominante della decorazione, scandita dalle tre arcate, sostenute da quattro colonne di marmo rosso con capitelli orati, che richiamano quelle all’ingresso della cappella. Invece nel primo e nell’ultimo arco troviamo due semplici tombe pensili, sorrette l’una da leoni e l’altra da lupi, che contengono rispettivamente le spoglie di Bonifacio Lupi e di Guglielmo de Rossi di Parma, altro personaggio di primo piano alla corte dei Carrara, molto vicino al Lupi. Al centro della cappella venne eretto, nel 1379, un altare con cinque statue di marmo, raffinata opera dello scultore Rainaldo di Francia, oggi conservato al Museo Antoniano.

La Cappella del Santissimo Sacramento è così chiamata perché vi si conserva il Santissimo Sacramento. Fu edificata a partire dal 1457 dall’architetto Giovanni da Bolzano per conto di Giacoma Boccarini da Leonessa, vedova del Gattamelata, che vi depose le spoglie mortali del condottiero e del figlio Gianantonio. Sulle pareti si vedono i sarcofaghi, a sinistra quello del condottiero Erasmo Gattamelata e a destra  del figlio Giannantonio. In origine la cappella era dedicata ai santi Francesco e Bernardino; le pareti erano decorate con affreschi di Pietro Calzetta, Matteo del Pozzo e Jacopo Parisati da Montagnana, che terminò i lavori nel 1473. Sopra l’altare vi era una pala di Jacopo Bellini, aiutato dai figli Giovanni e Gentile ma le opere andarono perdute nel Seicento. Le sculture furono affidate al padovano Gregorio di Allegretto, discepolo del Donatello. Nel corso dei secoli la cappella ha subito varie sistemazioni, l’ultimo risale al 1926 quando fu approvato il progetto definitivo di Lodovico Pogliaghi. Attorno alla cappella sono presenti quattordici statue in bronzo che  rappresentano personaggi che hanno preannunciato l’istituzione dell’eucarestia. Sono tutte lavori del Pogliaghi e rappresentano, partendo da sinistra: Aggeo, Daniele, Luca, Giovanni, Geremia, Giona, Davide, Salomone, Malachia, Ezechiele, Marco, Matteo, Isaia, Zaccaria.

Qui tutti possono sostare per una breve adorazione o per rivolgere la propria preghiera al Santo e al Signore.

Dalla cappella del SS. Sacramento ci spostiamo al centro della chiesa, nei pressi dell’area presbiterle, dove è possibile ammirare un’elegante balaustra di marmo rosso, adornata da quattro statue bronzee (la Temperanza, la Fede, la Carità e la Speranza) tutte realizzate da Tiziano Aspetti tra il 1593 – 1594.

Qui troviamo l’opera d’arte più celebre della Basilica, sette statue a tutto tondo, cinque rilievi maggiori e diciassette rilievi minori. L’impianto originale doveva essere grandioso ma nel corso del tempo ha subito diverse modifiche e ricomposizioni che hanno portato alla perdita dell’insieme originario. La ricomposizione che vediamo oggi è opera di Camillo Boito e risale al 1895.

Al centro dell’altare si staglia un meraviglioso Crocifisso (1449), in cui la divina bellezza del Cristo si umanizza nella serena accettazione della sofferenza e della morte. La testa è un vero capolavoro, in particolare per la cura dei dettagli. Si pensi ai peli della barba e ai capelli che sono realizzati con dovizia sorprendente, gli occhi colpiscono per quanto sono scavati. Le dimensioni di questo Crocifisso sono 180 x 166 cm..

Sotto la Croce, la Vergine seduta in trono che stringe il Bambino al petto, ai lati troviamo San Francesco e Sant’Antonio, Santa Giustina, San Daniele, San Ludovico e San Prosdocimo. A sinistra si erge un meraviglioso Candelabro del Briosco; per dimensioni e per bellezza artistica, è considerato il più magnifico del mondo.

Una danza di angioletti musici e cantori, una pietà, una impressionante Deposizione di Cristo, il simbolo degli evangelisti e quattro bassorilievi con miracoli di S. Antonio completano la decorazione dell’Altare, che resta l’opera più bella della Basilica. Ai fianchi dei presbiterio sono incassati 12 quadri in bronzo con fatti dell’Antico Testamento, opera di Bari Betlano (1488) e di A. Briosco (1507). Dietro l’altare si allarga il grande coro (sec. XVIII), dove si recano più volte al giorno i religiosi dell’attiguo convento per recitare l’ufficio divino.

Orario apertura e SS. Messe

– FERIALE

Apertura6.15
Ufficio delle Letture e Lodi mattutine6.55
SS. Messe: 
6.20 (in Sala del Capitolo!) – 7.30 – 9.00 – 10.00 – 11.00 – 17.00 – 18.00 *
N.B.: le messe delle ore 18 sono trasmesse in diretta tv e streaming
*il martedì al termine della S. Messa preghiera della Tredicina di S. Antonio; il venerdì al termine della messa la celebrazione del Transito di S.Antonio
Santo rosario ore 16.15 presso la Cappella del Santissimo Sacramento.
Chiusura19.25 (ora legale)

– PREFESTIVO
Ufficio delle Letture e Lodi mattutine6.55
SS. Messe mattino: 
6.20 (in Sala del Capitolo!) – 7.30 – 9.00 – 10.00 – 11.00
SS. Messe pomeridiane
16.00 – 17.00 – 18.00
N.B.: le messe delle 18 sono trasmesse in diretta tv e streaming
Chiusura19.30

– FESTIVO
Apertura: 6.15
SS. Messe6.30 –  8.00 –  9.00 – 10.00 – 11.00 – 12.15 – 16.00 – 17.00 – 18.00 
N.B.: le messe delle 11.00 e delle 18 sono trasmesse in diretta tv e streaming
Chiusura19.30

– PENITENZIERIA (Confessioni)
Feriale: 7.00 – 12.00, 13.30 – 18.30 (giovedì fino alle 18.00)
Festivo: 6.30 – 12.00, 15.00 – 18.30
 
– BENEDIZIONI (Cappella vicino alla Cappella del Tesoro)
Feriale: 9.00-17.00
Prefestivo: 9.00 – 16.00
Festivo: 14.00 – 16.00
Alla cappella attigua distribuzione di acqua benedetta.
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