Il Prato della Valle (in dialetto pra dea vae) è conosciuto dai padovani come il “Il Prato senza erba”, è la più grande piazza della città e tra le più grandi d’Europa, con una superficie di 88620 m².
Nella storia ebbe molti nomi: durante il periodo romano e altomedievale questa grande area era nota come Campo di Marte o Campo Marzio, il toponimo “Prato della Valle” (Pratum Vallis) fu riscontrato per la prima volta nel XII secolo.
Il termine Pratum veniva usato, in età medievale, per indicare un ampio spazio destinato a usi commerciali che spesso, se non lastricato, poteva anche ricoprirsi d’erba. Esso va inteso quindi soprattutto come indicativo di una funzione prevalente dell’area più che di una effettiva copertura erbosa.
Il termine “Valle” sta a significare “bassura” e “luogo paludoso”. Esso deriva dalla conformazione dell’area lievemente concava e soggetta ad allagamenti e successivi impaludamenti del terreno fino alla fine del XVIII secolo.
In periodo sabaudo l’area fu ufficialmente intitolata Piazza Vittorio Emanuele II pur continuando a essere chiamata, nell’uso comune, con il toponimo storico di Prato della Valle.
L’attuale sua configurazione, quale spazio di interazione sociale, di commerci, di spettacoli, si deve alle capacità progettuali e organizzative di Andrea Memmo, provveditore della Repubblica di Venezia, a Padova nel 1775.
Su suo incarico Domenico Cerato, professore di architettura all’università di Padova, disegna un grande ovale con al centro un’isola ellittica chiamata Memmia (circa 20.000 m²), circondata da una canaletta sulle cui sponde si trova una doppia fila di 78 grandi statue (38 lungo l’anello interno e 40 lungo quello esterno), 8 obelischi e 2 piedistalli vuoti, 16 vasi ornamentali e 4 piccoli ponti (il Ponte Nord, i due ponti degli obelischi e il Ponte dei Papi) con altrettanti viali che si congiungono al centro, in una fontana circondata da panchine in pietra d’Istria che fu inaugurata nel 1926.
Il Ponte dei Papi è cosi chiamato per le 4 statue di papi che lo ornano; (Papa Paolo II – Papa Eugenio IV – Papa Alessandro VIII – Papa Clemente XIII). Sotto questo ponte entrano e fuoriescono le acque del canale Alicorno che alimentano lo scenografico canaletto che circonda l’isola.
L’Alicorno è uno dei canali artificiali che scorrono all’interno del centro di Padova.
Nasce dal Bacchiglione, da cui si stacca all’altezza del bastione Alicorno e attraversa Prato della Valle, dove ricambia le acque che scorrono attorno all’Isola Memmia. Il resto del tracciato del canale è prevalentemente tombinato, fino al ricongiungimento con il Canale di Santa Chiara a valle del Ponte Corvo, dove assieme formano il Canale di San Massimo.
Si ritiene che il canale fosse stato originariamente scavato per irrigare gli orti presenti all’interno della cinta muraria cinquecentesca.
In epoca romana vi si trovava un circo, usato per combattimenti e per le esecuzioni dei cristiani perseguitati: qui vennero martirizzati due dei quattro patroni della città, Santa Giustina e San Daniele. Nel Medioevo venne usata come sede per fiere, giostre e feste pubbliche, e già nel 1077 vi si organizzava il mercato di bestiame dove confluivano dalle campagne centinaia di agricoltori e allevatori, cosa che accade ancora oggi di sabato, quando l’anello che circonda l’isola si affolla di 160 bancarelle che vendono prevalentemente abbigliamento, calzature, biancheria per la casa, ma anche piante, fiori e oggetti vari. Invece ogni terza domenica del mese si svolge il mercatino dedicato all’antiquariato. Dall’autunno 2007 alcuni banchi del quotidiano mercato di frutta e verdura delle piazze attorno al Palazzo della Ragione sono stati trasferiti in Prato.
Durante l’anno il Prato ospita concerti (varie volte vi ha fatto tappa il Festivalbar), eventi sportivi (come la Maratona di Sant’Antonio), la sfilata dei carri di Carnevale, le giostre per la tradizionale festa di Sant’Antonio, i maxischermi per seguire i Mondiali di Calcio o per festeggiare, in caso di vittorie calcistiche, le squadre italiane. Invece a capodanno e ferragosto vengono organizzate feste con musica e fuochi artificiali; particolarmente apprezzati sono quelli di ferragosto che registrano spettatori da tutto il Veneto. Nel 1938 in Prato si svolse l’adunata oceanica per la visita di Benito Mussolini in città e nel 1982 il papa Giovanni Paolo II celebrò la santa messa durante la sua visita in città.
Durante una giostra del 1466 venne esibito in Prato il gigantesco cavallo ligneo (oggi collocato a Palazzo della Ragione) fatto costruire da Annibale Capodilista sul modello del monumento equestre al Gattamelata eseguito da Donatello durante il suo soggiorno a Padova.
Nel corso dell’Ottocento la fitta piantumazione di platani ostacolò pesantemente la crescita dell’erba all’interno dell’isola. Infatti, nel XIX secolo, il Prato senza erba diventò uno dei “tre senza” di un celebre detto popolare sulla città di Padova.
Il primo “albero” della storia del Prato fu quello “della libertà” piantato dai francesi nel 1797 (in realtà si trattò di un palo ligneo su un piedistallo posizionato al centro dell’isola Memmia); esso fu di brevissima durata perché abbattuto dagli austriaci dopo otto mesi dalla sua realizzazione in quanto simbolo degli ideali rivoluzionari. Il primo albero vero fu un tiglio, detto ancora “della libertà”, piantato sempre in seguito all’arrivo delle truppe francesi nel 1805. L’estesa piantumazione di alberi nel Prato si deve invece al ritorno sotto l’Austria nel 1815 quando si diede il via all’inserimento di liriodendri tulipifera e platanus. Il totale degli alberi inseriti fu di circa 100. Ben presto però i liriodendri soffrirono per la crescita più veloce dei platani cominciando a morire e venendo lentamente sostituiti con altri esemplari di platani fino ad avere, nel corso dell’XIX secolo, una sola specie arborea presente. Questi esemplari, raggiungendo le dimensioni tipiche della specie (35-40 metri di altezza), modificarono notevolmente la percezione visiva del Prato e del progetto di Andrea Memmo. Lo spazio non poté più essere abbracciato in uno sguardo e le grandi chiome resero meno percepibile la presenza delle statue. Il boschetto così creato fu però a lungo apprezzato proteggendo dal sole e invogliando al passeggio sull’isola. Colpiti da un fungo (la Ceratocystiis fimbriata) in maniera sempre più grave ed estesa a partire dalla metà del Novecento, i platani sono stati abbattuti nel 1990 con l’eccezione di un unico esemplare salvato. Tale esemplare si è ammalato a sua volta ed è stato abbattuto nel novembre del 2011.
In seguito a un’attenta valutazione si è scelto di sostituire i platani con una nuova specie: l’acero riccio, varietà Summershade. I nuovi alberi sono stati piantati in numero assai inferiore (circa 50) e solo lungo i viali interni; tale specie è stata scelta perché raggiunge altezze (circa 20 metri) assai inferiori al platano ed è quindi maggiormente compatibile con la struttura urbanistico-architettonica del Prato pur continuando a garantire un’adeguata ombra attraverso il suo fitto fogliame.
Prato della Valle si trova vicino alla basilica di Sant’Antonio da cui è facilmente raggiungibile a piedi. Oggi il Prato è una tappa obbligatoria per chi visita la città del Santo e può legittimamente vantare il titolo di più bella isola pedonale al mondo, e alla sera quando le luci si accendono si possono fare delle belle passeggiate romantiche.
Le statue
Un preciso regolamento (emanato dalla Presidenza del Prato il 10 febbraio 1776) fissò le norme per la realizzazione delle statue: non potevano essere ritratte persone in vita e figure di santi, tutti i personaggi ritratti dovevano avere avuto un legame con la città.
La prima statua realizzata fu nel 1775, per prova, una statua di Cicerone, che fu velocemente rimossa per l’assenza di legame tra il personaggio e Padova; fu sostituita con l’attuale statua di Antenore offerta alla città dallo stesso Andrea Memmo. L’ultima delle statue originali fu quella di Francesco Luigi Fanzago collocata nel 1838.
Altre statue, danneggiate dagli agenti atmosferici sono state sostituite o rimodellate. La statua del marchese Poleni, scolpita da Antonio Canova nel 1780 è stata spostata nei Musei Civici Eremitani e sostituita da una copia realizzata da Luigi Strazzabosco.
In origine le statue erano 88, ma quelle raffiguranti 6 Dogi di Venezia furono distrutte dai soldati dell’esercito napoleonico quando occuparono Padova nel 1797 in spregio alla Serenissima Repubblica Veneta; (Antonio Grimaldi – Marcantonio Giustinian – Alvise Mocenigo – Marcantonio Memmo – Francesco Morosini detto Peloponnesiaco).
Le statue furono scolpite in pietra di Costozza, un calcare tenero che si presta molto bene all’uso della scultura, tra il 1775 e il 1883 da diversi artisti locali. Raffigurano tutte personalità maschili, l’unica eccezione è quella del busto della poetessa Gaspara Stampa collocato ai piedi della statua dedicata ad Andrea Briosco. Le sculture rappresentano i più illustri figli della città, padovani di nascita o d’adozione, e ricordano professori e studenti che onorarono la città e lo Studio padovano. Solo gli spazi dell’ingresso ai quattro ponti furono riservati a personaggi politici, a Dogi e Papi.
La statua 44 rappresenta Andrea Memmo patrizio veneziano illuminista, nominato Provveditore della Serenissima a Padova e ideatore del progetto del “Prato”. Statua che fu innalzata due anni dopo la sua morte, nel 1794, ad opera del padovano Felice Chiereghin.
Valore artistico ha la scultura numero 52 del giro interno, opera giovanile del celebre scultore Antonio Canova, di cui l’originale è oggi ai Musei Civici; questa rappresenta Giovanni Poleni, il matematico e fisico veneziano che a soli 25 anni fu insegnante di astronomia e fisica presso la nostra università.
Troviamo anche statue di letterati e artisti di fama nazionale come la 35 dedicata a Francesco Petrarca o la 36 dedicata a Galileo Galilei che insegnò per 18 anni ininterrottamente all’Università di Padova, periodo che egli stesso definì il più bello della sua vita.
Tra le altre statue sono da ricordare quelle di Torquato Tasso, Pietro D’Abano, Andrea Mantegna, Ludovico Ariosto, Giovanni Dondi dell’Orologio, Antonio Canova e Antenore, che, secondo il mito, fu il fondatore di Padova ecc.
Elenco statue anello esterno
Elenco statue anello interno
- 01 Antonio Diedo
- 02 Antenore
- 03 Alberto Azzo II d’Este
- 04 Publio Clodio Trasea Peto
- 05 Torquato Tasso
- 06 Pietro d’Abano
- 07 Giovanni Francesco Mussato
- 08 Pagano della Torre
- 09 Lucio Arunzio Stella
- 10 Opsicella
- 11 Obelisco
- 12 Obelisco
- 13 Bernardo Nani
- 14 Vettor Pisani
- 15 Lodovico Sambonifacio
- 16 Antonio Michiel
- 17 Antonio Barbarigo
- 18 Domenico Lazzari
- 19 Taddeo Pepoli
- 20 Marco Mantova Benavides
- 21 Andrea Mantegna
- 22 Papa Paolo II (Pietro Barbo)
- 23 Papa Eugenio IV (Gabriele Condulmer)
- 24 Bernardino Trevisan
- 25 Antonio Da Rio
- 26 Andrea da Recanati
- 27 Ludovico Ariosto
- 28 Albertino Mussato
- 29 Giuseppe Tartini (e Francescantonio Vallotti)
- 30 Giovanni Maria Memmo
- 31 Michele Morosini
- 32 Melchiorre Cesarotti
- 33 Obelisco
- 34 Obelisco
- 35 Francesco Petrarca
- 36 Galileo Galilei
- 37 Alessandro Orsato
- 38 Alteniero Degli Azzoni
- 39 Sicco Polenton
- 40 Antonio Zacco
- 41 Cesare Piovene
- 42 Maffeo Memmo
- 43 Andrea Navagero
- 44 Andrea Memmo
- 45 Piedistallo vuoto46 Zambono Dotto De’ Dauli
- 47 Speroni Speroni
- 48 Tito Livio
- 49 Gerolamo Savorgnan
- 50 Fortunio Liceti
- 51 Lodovico Buzzaccarini
- 52 Giovanni Poleni
- 53 Guglielmo Malaspina degli Obizzi
- 54 Giovanni Dondi dell’Orologio
- 55 Obelisco
- 56 Obelisco57 Antonio Schinella De’ Conti
- 58 Jacopino De’ Rossi
- 59 Gustavo Adamo Baner
- 60 Gustavo II Adolfo di Svezia
- 61 Matteo De’ Ragnina
- 62 Giobbe Ludolf di Erfurt
- 63 Stefano Gallini
- 64 Filippo Salviati
- 65 Oberto II Pallavicin
- 66 Papa Alessandro VIII (Pietro Ottoboni)
- 67 Papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico)
- 68 Antonio Canova (con il procuratore Antonio Capello)
- 69 Francesco Luigi Fanzago
- 70 Francesco Pisani
- 71 Giulio Pontedera
- 72 Nicolò Tron
- 73 Francesco Guicciardini
- 74 Jacopo Menochio
- 75 Giovanni III Sobieski
- 76 Stefano I Báthory
- 77 Obelisco
- 78 Obelisco
- 79 Pietro Danieletti (con Giovanni Battista Morgagni)
- 80 Rainiero Vasco
- 81 Francesco Morosini detto il Peloponnesiaco
- 82 Gerolamo Liorsi
- 83 Antonio Savonarola
- 84 Marino Cavalli
- 85 Andrea Briosco (con Gaspara Stampa)
- 86 Albertino Papafava
- 87 Michele Savonarola
- 88 Piedistallo vuoto
I Palazzi
Sulla piazza si affacciano importanti edifici storici come:
- La Basilica di Santa Giustina, ricostruita nel 1498;
- Il Palazzo Angeli, costruito nel Quattrocento all’angolo nord del Prato come residenza padovana del cardinale Bessarione;
- Il Palazzo Zacco al Prà (oggi circolo ufficiali di presidio) costruito nel 1556 – 1557 su progetto di Andrea Moroni, già architetto della nuova basilica;
- Il Palazzo Grimani costruito nel 1521 su progetto del Rusconi e del Contin;
- Il collegio universitario Da Mula (oggi Loggia Amulea) costruito nel 1608 al centro del lato est del Prato. Quest’ultimo edificio, dopo essere divenuto un’abitazione privata, andò distrutto in un incendio del 1821. Il palazzo fu ricostruito completamente tra il 1859 e il 1861 dall’ingegner Eugenio Maestri;
- Il castello ed il giardino Pacchierotti (oggi area campo Tre Pini-Antonianum) che furono costruiti nel 1842 – 1845;
- Il Foro Boario costruito nel 1913 su una parte dell’area prima occupata dal monastero della Misericordia;
- Il Teatro Zairo, di epoca augustea, costruito sul lato est (attualmente non visibile). Secondo alcuni storici qui vi era anche il tempio della Concordia e il circo della città.
Tra il 1921 e il 1928 venne aperta via Luca Belludi, per collegare direttamente il Prato con la basilica di Sant’Antonio, con il totale rifacimento degli edifici prospicienti. In quest’ultimo periodo venne costruito il Palazzo Sacerdoti, uno degli edifici più caratteristici della città. Fu progettato nel 1922 dall’ingegnere Augusto Berlese (1884-1941) in uno stile che risente di suggestioni di vario tipo (liberty, romanico, bizantino). Il Palazzo è ben riconoscibile perché è caratterizzato da una grande torre che si affaccia direttamente sulla piazza, per le diverse forme delle finestre e per le ricche decorazioni pittoriche realizzate sulle facciate, sui poggioli e capitelli. Su una facciata è possibile ammirare un dipinto che raffigura la Madonna con il Bambino in braccio.
Il Teatro romano di Patavium
Il Teatro romano di Patavium rappresentava, con l’Anfiteatro, il complesso monumentale più grande della città antica. L’edificio era destinato ad accogliere la popolosa comunità patavina per la rappresentazione di opere teatrali, ma anche per riunioni civico-politiche, per audizioni musicali, per celebrazioni di vario genere e per letture di opere poetico-letterarie. Il Teatro doveva raggiungere 15 m di altezza e 100 m di estensione massima, configurandosi così come uno dei più grandi dell’Italia romana. Esso tuttavia risulta oggi difficilmente ricostruibile nella sua articolazione complessiva, a causa delle distruzioni subite e della mancanza di scavi sistematici. I lavori di sistemazione del Prato della Valle nel ‘700 e altri interventi successivi di pulitura della canaletta hanno permesso di individuare soltanto una parte delle strutture antiche. Del teatro sono tuttora visibili le fondazioni in scaglie di trachite dei Colli Euganei e di pietra del Colli Berici legate da malta, mentre nulla si conserva del suo alzato. La cavea, destinata ad accoglie gli spettatori, era formata da gradinate semicircolari. Queste erano sostenute nella posizione inferiore (e forse mediana) da una grande opera muraria in calcestruzzo, mentre nella porzione superiore i sedili degli spettatori erano sostenuti da muri ad andamento radiale (di cui 19 sono parzialmente visibili sul fondo della canaletta) e muri semicircolari, che formavano un articolato sistema di volte. Due corridoi di passaggio dividevano la cavea e l’antistante orchestra dall’edificio scenico, utilizzato dagli attori per la recitazione. Il muro della fronte del palcoscenico era decorato da 7 nicchie quadrangolari. Il carattere incompleto delle ricerche rende difficile proporre una datazione per il Teatro, per il quale è stata in passato proposta una cronologia compresa tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.. Caduto in disuso e riutilizzato con altre funzioni a partire del IV secolo, l’edificio era ancora visibile nel Medioevo. Da qual momento il Teatro, noto come lo Zairo (derivato dal latino Theatrum), fu progressivamente smontato per ricavarne pietre, riutilizzate sia nel complesso religioso del Prato della Valle, sia nella costruzione del Ponte di Rialto a Venezia.