Caffè Pedrocchi

Il Caffè Pedrocchi è situato nel cuore del centro storico della città di Padova, di fronte all’Università.  E uno tra i più importanti e antichi caffè nati nel primo Ottocento italiano e sopravvissuto fino ai giorni nostri, grande testimonianza del Risorgimento, frequentato da artisti, letterati italiani ed europei tra cui Eleonora Duse, il futurista Marinetti, D’Annunzio, Balzac e Stendhal, ma anche politici e patrioti, professori universitari e studenti. 

La sua storia inizia con Francesco Pedrocchi, un caffettiere nato a Rovetta nel bergamasco nel 1719. All’età di tredici anni come molti altri contemporanei emigrò verso l’allora capitale Venezia, dove aveva trovato lavoro come panettiere. Giunto a Padova verso la metà del Settecento trovò lavoro presso una famosa Bottega d’acqua Al Bo, di certo Pietro Zigno situata in via Oberdan un tempo Via del Sale. Coll’andar degli anni Francesco, attivo, obbediente, intelligente, divenne socio col proprietario, ma nel 1772 iniziava per proprio conto una nuova caffetteria. Sposatosi con Angela Pedrinelli ebbe due figli: Francesco seguì la via degli studi e ANTONIO successe nel negozio del padre alla sua morte, avvenuta il 5 aprile del 1799. I guadagni aumentavano notevolmente, perciò il nuovo proprietario concepì l’idea di trasformare la sua bottega in ristorante dove i pranzi squisiti costavano al massimo una lira e mezzo, si mangiava bene e costava poco. Già nel 1813 Stendhal, ospite durante l’intero luglio, affermava che il Pedrocchi poteva ritenersi la migliore trattoria d’ Italia da paragonare alle più famose di Parigi.

La costruzione fu affidata all’ingegnere Giuseppe Bisacco, ma insoddisfatto del risultato estetico Antonio decise di ricostruire il locale trasformandolo in un elegante ritrovo aristocratico e ne affidò l’esecuzione all’architetto veneziano Giuseppe Jappelli. I lavori iniziarono nel 1826, nel corso dei quali vennero alla luce importanti frammenti architettonici di età romana, ora conservati ai Musei Civici agli Eremitani.

Il grande architetto nella progettazione si trovò subito a dover risolvere il difficile problema di lavorare su un’area “a clavicembalo”, quasi triangolare, e a dover coordinare facciate spazialmente diverse: Jappelli scelse di costruire, dal lato della piazzetta Pedrocchi, due corpi con logge doriche unite visivamente da un’altra loggia corinzia al piano nobile. Davanti alle logge si trovano quattro leoni in pietra scolpiti dallo scultore romano Giuseppe Petrelli, imitanti quelli in basalto che ornano la cordata del Campidoglio a Roma. Ai lati degli ingressi vi sono busti di Antonio Pedrocchi e dello Jappelli stesso, invece sulla facciata monumentale si trovano i medaglioni in bronzo di Antonio e Domenico Cappellato Pedrocchi.

Il piano terra si articola sulla monumentale e centrale Sala Rossa, tripartita da colonne ioniche in marmo giallo e absidata sul lato di fronte alle tre porte d’ingresso della strada. La sala è decorata alle pareti da grandi carte geografiche con gli emisferi capovolti, attribuite a Peghin da Luisa, ricordano che dopo la Rivoluzione Francese il mondo era stato anch’esso capovolto. Il bancone di marmo, sollevato dal pavimento mediante sei zampe di leone è collocato nel catino semiellittico. Sopra i passaggi di servizio troviamo due bassorilievi che rappresentano le allegorie dell’Aurora e della Notte.

Ai suoi lati, simmetricamente, si aprono la Sala Bianca a sud, che conserva la targa con la citazione di Stendhal nella prefazione del suo romanzo “La certosa di Parma”, nella quale lo scrittore cita il famoso zabaione Pedrocchi, che ebbe modo di degustare durante la sua visita a Padova, e il buco sul muro provocato da un colpo di fucile esploso l’8 febbraio 1848 nel corso dei moti di quell’anno contro l’Impero Austriaco, e la Sala Verde a nord, in corrispondenza delle logge, aperta a tutti, anche a studenti squattrinati che potevano fermarsi per leggere i quotidiani senza obbligo di consumare. Sembra che proprio da questo derivi il modo di dire  “restare al verde”. I nomi delle tre sale sono stati dati in onore dei colori della bandiera italiana dopo l’Unità.  Completano la fabbrica una stanza di servizio e una Sala Ottagonale adibita alla borsa, rimaneggiata nel 1950 e poi nel 1999. 

Il Caffè fu aperto al pubblico il 9 giugno 1831 ed era talmente splendido che ottenne ben presto fama anche all’estero. Antonio ebbe un modo assai singolare di trattare la clientela, fin da subito volle introdurre parecchie novità. Chiunque poteva entrare anche solo per riposare o leggere i libri e i giornali, come “Il Caffè Pedrocchi” (il primo di sei giornali intitolato al nome del Caffè), messi a disposizione dal locale. Alle donne veniva offerto un fiore e in caso di pioggia improvvisa un ombrello; una tabacchiera sempre piena e gli stuzzicadenti non mancavano mai su ogni tavolo, in caso servisse forniva ago e refe ai clienti, ed era aperto 24 ore su 24. Antonio Pedrocchi è stato il primo che ha messo l’illuminazione a gas nel suo caffè.

Nel 1838 il prospetto meridionale fu completato con la costruzione del Pedrocchino, destinato a offelleria, riflesso del viaggio a Londra di Jappelli dell’anno precedente: si tratta di un misto tra gotico (l’angolo con le guglie traforate e le finestre aguzze) e neoclassico (l’architettura che si rifaceva appunto a quella antica greca o romana). Le guglie, gli archi acuti polilobati e le balaustre traforate furono scolpiti da Antonio Gradenico su disegni di Giuseppe Jappelli.

Il piano superiore articolato in otto sale allestite secondo altrettanti stili diversi, fu inaugurato il 15 settembre 1842, in occasione del IV Congresso degli Scienziati Italiani. Il suo solenne ingresso è posto in una delle due logge: lo spazio si apre con uno scalone d’onore che si conclude in una grande nicchia decorata a stucco con l’immagine delle sette muse danzanti. Tutte le sale ruotano intorno alla sala da ballo (Sala Rossini) dedicata a “Gioachino Rossini splendore e forza del canto italiano”. E’ la sala più grande, duecentocinquanta metri quadrati alle cui pareti sono appese piccole vittorie alate reggenti corone d’alloro. Qui si tenevano le “Accademie” organizzate dalla Società del Casino Pedrocchi, ossia i concerti, spesso accompagnati da lotterie e balli. Il soffitto si ricollega al tema musicale con quattro cetre disposte agli angoli e ornamenti a motivi di cigni, delfini, racemi. Il palco per l’orchestra è inquadrato da un finto sipario di cartapesta e stucco che richiama nel fasto del colore giallo-oro le ampie cortine dei teatri. Le pareti sono di colore bianco in marmorino con motivi di api, in ottone sbalzato, omaggio della visita di Napoleone a Padova. 

Seguono la Sala Etrusca con il soffitto dipinto con figure nere su fondo rosso, la Sala Greca di forma ottagonale, decorata da Giovanni De Min con L’incontro tra Diogene e il gallo di Platone, la Saletta Romana, decorata nel 1841 dal bellunese Ippolito Caffi con vedute romane di Castel Sant’Angelo, del Foro Romano e di quello di Augusto, della Colonna Traiana e del Tempio di Minerva, tra le pitture più interessanti dell’intero complesso. Alla sua sinistra la Sala Rinascimentale, con la pittura del soffitto di Vincenzo Gazzotto rimasta incompiuta, che conserva parte degli arredi originali: su di un lato la sala dà sulla terrazza del prospetto meridionale, dall’altro si entra nella Sala Ercolana, decorata dal bellunese Pietro Paoletti, allievo di Demin. Le pareti in marmorino di questa stanza sono incorniciate da stucchi dorati che raffigurano grifi, rami e cavalli alati. Nei sette riquadri vengono per l’appunto raffigurate le scene di vita con il Trionfo di Diana, dea della caccia, ideati in modo discontinuo nella narrazione: la serie si conclude con il dipinto sul soffitto con la scena di Diana che dispensa i premi alle sue alunne più valenti, intorno figurine esilmente sospese a dei fili. La sala si compone anche del mobilio, originale dell’Ottocento, in cui figurano i quattro tavoli rotondi in marmo giallo e grigio, sorretti da un fusto ottagonale che termina con degli zoccoli caprini inseriti in ogni lato.

Dal lato opposto della sala da ballo, la Sala Egizia con il soffitto dipinto a cielo stellato. Qui troviamo copia delle quattro statue della dea Sakhmet, omaggio al noto scopritore di antichità Giovan Battista Belzoni, con il quale Jappelli aveva avuto personali contatti. La dea Sekhmet “la Potente” era una delle divinità più cruente e terrifiche dell’antico Egitto, era in grado di generare il deserto dal proprio respiro. Una divinità solare, a volte ritenuta figlia di Ra (dio del sole di mezzogiorno). Era rappresentata interamente in forma umana con testa di leonessa.   Le statue in pietra nera raffigurante la dea si possono vedere ai Musei Civici Eremitani. 

I numerosi simboli egizi dispiegati in questa decorazione hanno funzione puramente ornamentale; l’omaggio a Belzoni si ripresenta nella vicina Sala Moresca, dove Giovanni Demin ha raffigurato un personaggio in abito arabo che scosta una cortina. Le pareti di quest’ultima sala sono divise tra specchi riquadrati con fogliami dipinti e legni intagliati con decorazioni per lo più naturali.

Dall’8 febbraio 2004 il Piano Nobile ospita il Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea.

Dalla moglie Antonia Guzzoni non ha figli. Muore il 22 gennaio 1852, lasciando erede del suo patrimonio il figlio adottivo Domenico Cappellato Pedrocchi, il quale alla morte di quest’ultimo avvenuta il 18 luglio 1891, per disposizione testamentaria avvenuta davanti al notaio Antonio Bana, donò la vistosa eredità al Comune di Padova con il seguente vincolo: “Faccio obbligo solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l’uso dello Stabilimento come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia“.

Il Caffè doveva mantenere anche la consuetudine di restare aperto ventiquattro ore su ventiquattro, ma la prima guerra mondiale imporrà la chiusura nelle ore notturne e l’usanza che farà dire del Pedrocchi il Caffè senza porte, voluta già dal vecchio Antonio, sarà abbandonata nel 1916.

Subito dopo la grande guerra iniziò un periodo di degrado che portarono alla chiusura temporanea dello storico locale. Nel 1924 iniziarono i lavori di restauro con il progetto dell’architetto Angelo Pisanin che in parte modificarono la struttura, il vicolo retrostante venne trasformato in una galleria coperta da vetrocemento da cui ricava negozi, un telefono pubblico e una fontana in bronzo, sventrando parte dell’Offelleria, del Ristorante e demolendo la Sala del Biliardo. Durante il restauro il Pedrocchi venne spogliato di gran parte degli arredi originali disegnati dallo stesso Jappelli, compreso lo storico bancone in marmo. Fu riaperto al pubblico il 4 novembre del 1950.

Durante gli anni ’80 e ’90 il caffè rimane chiuso fino a quando, nel 1994, si decide di recuperare i locali e ripristinare l’aspetto originale della struttura, con un progetto diretto dall’architetto Umberto Riva.

Il caffè fu restituito ai cittadini di Padova il 22 dicembre 1998.  

Oggi il Caffè Pedrocchi continua l’antica tradizione proponendo ai turisti ricette storiche e segrete come il caffè alla menta e lo zabaione Stendhal.

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