La Cappella degli Scrovegni di Padova è uno dei massimi capolavori artistici del Trecento.
La storia inizia il 6 febbraio 1300 quando Enrico Scrovegni, esponente di una delle più ricche famiglie padovane del Duecento e Trecento, acquistò da Manfredo Dalesmanini, l’intera area dell’antica Arena romana per costruire un palazzo sontuoso, collegato a una Cappella destinata a oratorio privato e a monumento sepolcrale.
Nel duecento, Padova era un comune guelfo di grande importanza, fedele al dominio papale e dominava le adiacenti città di Vicenza, Bassano, Rovigo, sanguinosa la diatriba con Venezia città marinara di enorme peso politico-economico. Fulcro di considerevoli forza guelfe, divenne in forte contrasto con altre casate per spicco e nobiltà quali gli Scaligeri di Verona, i Visconti di Milano. La borghesia grassa primeggiava e si arricchiva anche con metodi inaccettabili come l’usura. La famiglia degli Scrovegni diventò potente e ricchissima, forse la più ricca della città Patavina, grazie anche all’usura. Il capo della casata fu Rinaldo o Reginaldo che governò la famiglia tra il 1260 e il 1290. Dante ricorderà Rinaldo o forse suo figlio Arrigo o Enrico nel settimo cerchio dell’infero, cioè il girone degli usurai indicati quali strozzini. La sua attività di usura ebbe di contraccolpo il disprezzo del popolo padovano che lo soprannominò “sesso di scrofa”. Alla morte di Rinaldo gli successe il figlio Enrico, il quale era ben consapevole dell’astiosità della sfera popolare e si ripromise di adoperarsi affinché la famiglia non fosse ricordata con disonore. Con questo proposito divenne membro della congregazione religiosa della Milizia della Beata Vergine Maria detta anche dei Frati Gaudenti.
In questa piccola borgata mancava una chiesa, così Enrico ne chiede autorizzazione al vescovo Ottobono de’ Razzi, nel giro di poco tempo tutta la zona dell’Arena fu trasformata e rimodernata con la costruzione di una chiesa che voleva simboleggiare la salvezza dei suoi cari e soprattutto per l’anima di suo padre Rinaldo.
I frati della vicina chiesa degli Eremitani protestarono indicando nel comportamento di Enrico la volontà di vantaggio morale e no di vera fede in Dio, ma la famiglia Scrovegni concluse la chiesa chiamando Giotto come sommo maestro per affrescarne le pareti e la volta. Il pittore toscano era giunto a Padova su richiesta dai frati francescani per eseguire affreschi all’interno della Basilica del Santo e all’interno del Palazzo della Ragione.
L’opera, iniziata nel 1303, fu terminata in poco meno di due anni, Giotto realizza lungo le pareti un ciclo narrativo che si divide in tre registri. La storia inizia dalla prima scena del registro più alto della parete meridionale che da il via alle Vite di Gioacchino e Anna e alla Vita della Vergine Maria tratte dai Vangeli di Apocrifi. Seguono la Vita, Passione e Morte di Cristo tratte dai Vangeli. Lungo la parete settentrionale le scene sono separate da fasce decorative divise in cornici mistilinee in cui si narrano episodi dell’Antico Testamento, che preannunciano quelli del nuovo testamento. Il Giudizio Universale copre l’intera parete occidentale.
Alla base del quarto registro inferiore, lungo tutto il perimetro interno della costruzione, corre infine uno zoccolo dipinto ove le raffigurazioni allegoriche delle sette Virtù sulla parete destra (quattro cardinali, Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia, e tre teologali, Fides, Karitas, Spes) e dei sette Vizi Capitali sulla sinistra (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio), si alternano a zone affrescate in modo da imitare un rivestimento marmoreo, secondo il gusto dell’antica pittura romana a incrostazione. Le allegorie di Vizi e Virtù furono forse suggerite dallo stesso Enrico Scrovegni, che in tal modo avrebbe voluto essere ricordato come uomo giusto e saggio.
Giustizia
Prudenza
Scostanza
Temperanza
Fede
Ingiustizia
Stoltezza
Fortezza
Ira
Infedeltà
Carità
Invidia
Speranza
Disperazione
La volta a botte è ritmata da tre grandi archi dove, dentro cornici quadrilobate, Giotto raffigura patriarchi e re dell’Antico Testamento. Per questi personaggi, a causa dell’assenza di attributi iconografici, l’identificazione risulta difficile.
Simboleggia l’ottavo giorno, la dimensione dell’eternità su un cielo azzurro e stellato, simbolo della sapienza divina. Il cielo ottenuto con una semplice azzurrite ospita circa 400 stelle a otto punte, è suddiviso in due campi perfettamente uguali, su uno brilla l’immagine enorme della Vergine Madre e Regina (nel campo vicino all’ingresso) e nell’altro l’immagine di Cristo Benedicente.
Nello spazio stellato dedicato a S. Maria della Carità troviamo quattro cerchi minori che raffigurano re e profeti dell’Antico Testamento:
Malachia: ha in mano un cartiglio, che cita il capitolo 3, verso 1
” Et statim veniet ad templum suum, determinator, quem vos queritis et angelus, testamentui quel vos vultis”
(E subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercare, e l’angelo dell’alleanza che voi sospirate).
Daniele: ha in mano un cartiglio, che cita il capitolo 6, verso 26
” Ipse est enim Deus vivens et aeternus in secula, et Regnum eius non dissipabitur et potestas eius usque in aeternum”
(Egli è infatti il Dio vivente che dura in eterno; il suo regno è tale che non sarà mai distrutto e il suo dominio non conosce fine).
Isaia: ha in mano un cartiglio, che cita il capitolo 7, verso 14
“Ecce Virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius Emmanuel “
(Ecco la Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio, che chiamerà Emmanuele).
Baruch: ha in mano un cartiglio che cita il verso 36 del capitolo 3
“Hic est Deus noster et non aestimabitur alius adversus eum”
(Egli è il nostro Dio e nessun altro gli può essere paragonato)
Malachia
Daniele
Isaia
Baruch
Nello spazio stellato dedicato a Cristo benedicente troviamo quattro cerchi minori che raffigurano quattro profeti:
Ezechiele: ha in mano il libro, scritto entro e fuori, che gli è stato offerto da Dio. Ha preannunciato la maternità di Maria e, per questo motivo, nel Medioevo godeva di una grande notorietà.
Giovanni Battista: è colui che annuncia l’arrivo di Cristo ed il suo precursore. La sua vita è raccontata nei vangeli di Luca e Giovanni.
Geremia: preannuncia la nuova alleanza di Dio con il suo popolo. Più di ogni altro profeta, ha prefigurato, on la sua vita, la Passione e morte di Cristo.
Michea: preannuncia la nascita del Messia a Betlemme in un passo esplicito delle sue profezie.
Ezechiele
Giovanni Battista
Geremia
Michea
Per adornare la cappella, Enrico Scrovegni chiamò uno dei massimi scultori della sua epoca, Giovanni Pisano (ca. 1250-1315), al quale commissionò tre statue in marmo raffiguranti la Madonna con Bambino tra due diaconi e il monumento funebre per lui e per la sua seconda moglie Iacopina d’Este, collocato dietro le statue. Sulla tomba, realizzata da Andriolo de Santi, troviamo due angeli che tengono le cortine del baldacchino per farci vedere il corpo del defunto; questi è raffigurato sul letto di morte, con gli occhi chiusi, il volto solcato da rughe, le braccia incrociate nel riposo della morte. Sullo sfondo del baldacchino si vedono gli stemmi della famiglia degli Scrovegni.
Essendo un uomo molto ricco, Enrico era riuscito a porsi in ottimi rapporti con Benedetto XI, papa a Roma, al punto che il Santo Padre ne parlava come di “familiaris noster”. Il 1° marzo 1304 riuscì ad ottenere con straordinaria destrezza l’indulgenza di un anno per tutti coloro che, confessati e pentiti, l’avessero visitata durante le feste mariane, e un anno dopo, sempre nella ricorrenza del 25 marzo 1305, la Cappella veniva consacrata. Ogni anno in quest’ultima data all’interno della Cappella si verifica un particolare effetto luminoso. Dall’apertura a forma di stella nella cornice della prima finestra laterale verso le 10 del mattino entra un raggio di sole, che illumina i beati del Giudizio Universale e arriva a colpire la mano di Enrico Scrovegni, che regge il modellino della Cappella nell’atto di donarla alla Vergine Maria.
Questo particolare si trova sulla parte bassa della grande scena del Giudizio Universale. In questa scena Giotto ha raffigurato Enrico Scrovegni, ricchissimo usuraio di Padova, mentre offre la cappella privata alla Madonna, in suffragio dell’anima di suo padre Reginaldo, l’usuraio ricordato da Dante nel canto XVII dell’Inferno.
Nel ‘330 l’usura era ritenuto un peccato molto grave, ed Enrico si era macchiato anch’egli dello stesso vizio del padre. Questo gesto aveva appunto il significato di restituire simbolicamente quanto era stato lucrato con l’usura. Nella scena è raffigurato con la veste viola, colore della penitenza, ma si fa collocare nel settore dei beati sotto la protezione della croce. Il personaggio che affianca Enrico e lo aiuta a sorreggere la cappella sarebbe, secondo la tradizione, il religioso agostiniano Altegrado dè Cattanei, colui che suggerì il nome di Giotto e scelse le storie da tradurre in immagini e il programma iconografico dell’intera Cappella. Vicino alla Madonna troviamo S. Giovanni evangelista e S. Caterina d’Alessandria, santi ai quali sono dedicati due altari. Rispetto alla tradizione gotico-bizantina, Giotto fu anche il primo a reintrodurre i volti di profilo e le persone di spalle, dopo secoli in cui le figure venivano rappresentate solo di fronte; ne troviamo un esempio anche nella scena del tradimento di Giuda e nel Compianto sul Cristo morto.
La cappella, intitolata a Santa Maria della Carità (cioè dell’amore a Dio e all’umanità), era originariamente collegata al Palazzo di famiglia, fatto erigere dopo il 1300, seguendo il tracciato ellittico dei resti dell’Arena Romana. Nel Quattrocento il palazzo fu dei Trevisan e dei veneziani Foscari, che lo possedettero per alcuni secoli fino a quando non venne distrutto nel 1820. La cappella fu ufficialmente acquisita dalla municipalità di Padova con atto notarile nel 1881, un anno dopo il mandato del Consiglio Comunale nella seduta del 10 maggio 1880, (Fu acquistata dalla famiglia Gradenico per una somma di 54.971 lire).
La Cappella dall’esterno si presenta semplice e quasi disadorna, con mattoni a vista, con la facciata a capanna coronata da archetti pensili, una trifora gotica ed un portale lunetta, sulla parete sud troviamo sei finestre alte e strette. L’interno ad aula unica con volta a botte è interrotta a metà da due altari laterali; ha una pianta rettangolare lunga 21,50 m larga 8,50 e alta 12,80 m, la zona absidale è formata da una prima parete a pianta quadrata, profonda 4,49 m e larga 4,31 m, e da una successiva, a forma poligonale a cinque lati, profonda 2,57 m e coperta da cinque unghiature nervate.
Vita di Gioacchino
1 La cacciata di Gioacchino
2 Gioacchino fugge dai pastori
3 Annunciazione di Anna
4 Sacrificio di Gioacchino
5 Sogno di Gioacchino
6 Incontro alla porta aurea
Vita della Vergine
7 Nascita della Vergine
8 Presentazione della Vergine
9 Cermonia dei bastoni
10 Preghiera per il miracolo
11 Matrimonio della Vergine
12 Corteo nuziale
13 Dio Padre circondato dagli angeli
14 Angelo dell’Annunciazione
15 Annunciazione: la Vergine
Vita di Cristo
16 Visitazione
17 Natività
18 Epifania
19 Presentazione al Tempio
20 Fuga in Egitto
21 Strage degli innocenti
22 Cristo insegna ai dottori
23 Battesimo di Cristo
24 Nozze di Canaa
25 Miracolo di Lazzaro
26 Ingresso a Gerusalemme
27 Purificazione del Tempio
28 Tradimento di Giuda
29 Ultima Cena
30 Lavacro dei piedi
31 Bacio di Giuda
32 Cristo e Caifa
33 Flagellazione
34 Calvario
35 Crocifissione
36 Deposizione
37 Resurrezione
38 Ascensione
39 Pentecoste
40 Giudizio Universale
41 Virtù:
(a) Prudenza
(b) Forza
(c) Temperanza
(d) Giustizia
(e) Fede
(f) Carità
(g) Speranza
42 Vizi:
(h) Follia
(i) Incostanza
(l) Ira
(m) Ingiustizia
(n) Infedeltà
(o) Invidia
(p) Disperazione
La Cappella è visitabile solo su prenotazione su https://cappelladegliscrovegni.vivaticket.it/
E’ aperta al pubblico tutto l’anno, i giorni di chiusura sono 25, 26 dicembre e 1 gennaio
I biglietti dal martedì alla domenica includono anche la visita ai Musei Civici degli Eremitani e a Palazzo Zuckermann