Chiesa degli Eremitani

La costruzione di una chiesa in muratura dedicata ai Santi Filippo e Giacomo da parte dei frati Eremitani Agostiniani si data al 1276, ma già nel 1218 esisteva un tempio coperto di tavole dedicato a questi santi. La fusione di diversi ordini di Eremiti nella Congregazione degli Eremitani di Sant’Agostino, approvata con bolla papale il 9 aprile 1256, favorì l’ascesa di tale Ordine, che già tra il 1242 e il 1245 aveva fondato all’Arena il Monastero di Santa Maria della Carità. Il ruolo culturale svolto dall’Ordine e i rapporti con l’Università resero gli Agostiniani meritevoli di sostegno anche economico da parte del Comune. L’attuale edificio, eretto nel 1276, conservò un tetto in paglia fino al 1306, quando l’architetto fra’ Giovanni degli Eremitani (monaco del convento) lo dotò di un tetto a carena di nave rovesciata. Per costruirlo usò il legname avanzato dalla costruzione della volta di Palazzo della Ragione.

La facciata della chiesa è a capanna e si presenta divisa orizzontalmente in due parti: nella parte bassa sono presenti delle lastre tombali e un pseudo loggiato in pietra a cinque arcate, in quella centrale vi è il portale d’ingresso, nelle laterali degli avelli, mentre la parte alta è realizzata in cotto e presenta un rosone centrale e un fastigio ornato da archetti pensili.  Sopra il portale vi è una lapide dove sta inciso: Adorate Dominum in atrio sancto eius.

Il portale laterale meridionale, di epoca rinascimentale, è stato realizzato nel 1422 dal fiorentino Niccolò Baroncelli, è decorato da dodici altorilievi che raffigurano i mesi.

É una delle poche, tra le grandi chiese della città, che si presenta come un’unica aula senza divisioni in navate (circa 80 metri di lunghezza) detta a granaio. Ciò è dovuto alla tradizione degli ordini predicatoti, come erano gli Eremitani, che avevano bisogno di uno spazio di questa struttura e ampiezza per poter svolgere una predicazione che raggiungesse tutti agevolmente. A motivo di questa sua particolare forma di bellezza e acustica, durante l’anno viene molto ricercata per eseguirvi dei concerti di particolare pregio. I più fedeli concertisti agli Eremitani sono certamente “I Solisti Veneti” che la prenotano per ben due concerti, uno poco prima di Natale e uno a maggio come inizio del loro Veneto Festival che tutta l’estate si sposta di città in città.

L’inizio della loro tournée è sempre un’opera di grande spessore e rigorosamente di carattere sacro come esige la disciplina dei concerti nelle chiese. Le straordinarie musiche di Mozart, Handel, Pergolesi, Vivaldi vengono accompagnate da voci accuratamente selezionate tra le migliori e da cori internazionali a volte molto corposi (talvolta con più di 100 elementi). La chiesa viene utilizzata anche per altri complessi sia strumentali che vocali, tra cui “l’Orchestra di Padova e del Veneto”.

L’ampia navata è decorata lungo le pareti da un motivo dipinto a strisce di tre colori, bianche, rosse e gialle, che imitano dei filari in mattoni. Il limite superiore è impreziosito da una cornice floreale cinquecentesca.

Il corpo centrale della Chiesa termina con tre absidi:

– La cappella maggiore si trova al centro e si presenta con una forma pentagonale; è decorata da un ciclo di affreschi di Guariento conservatosi solo per metà, con le Storie di San Filippo, Sant’Agostino e San Giacomo minore, a sinistra, mentre a destra è ormai leggibile solo la fascia inferiore con le allegorie dei Pianeti e delle Età dell’uomo nello zoccolo.

Le Storie raccontano di San Filippo costretto a sacrificare a Marte, del Miracolo della croce, dell’Incontro di San Filippo con i vescovi, della Visione e Vestizione di Sant’Agostino. In questi affreschi, eseguiti fra il 1361 e il 1365, Guariento raggiunge la sua maturità artistica, superando Giotto nella resa delle figure e nell’impostazione prospettica delle architetture.

Dietro l’altare nella parte alta troviamo un grande crocifisso dipinto a tempera, realizzato dal veneziano Nicoletto Semitècolo nel 1367 (Pesa da 7 a 8 quintali).

– La cappella Sanguinacci, intitolata ai Santi Cosma e Damiano, si trova sulla sinistra, prende il nome dalla famiglia che ne ebbe il patronato, ed è considerata una sorta di “palinsesto” della pittura padovana del Trecento. Sulla stessa parete in basso vi è una seconda Madonna in trono, con Santi e un offerente (forse Enrico Spisser, nobile tedesco al servizio dei da Carrara), eseguita nel 1373 probabilmente da Giusto de’ Menabuoi e affine per schema compositivo a quella presente nell’abside della Cappella degli Scrovegni. Sulla parete di sinistra sono visibili i resti di un affresco votivo con emblemi araldici, ora in gran parte perduto in seguito alla collocazione sulla parete dell’urna di Ilario Sanguinacci, illustre condottiero e podestà di Bologna e Firenze, morto nel 1381. Il sarcofago di Ilario Sanguinacci è stato realizzato dallo scultore trecentesco Paolo Jacobello.

– La Cappella dotto o Cappella Angelorum, si trova sulla destra, prende il nome dall’illustre famiglia che ne fu proprietaria, già agli inizi del Trecento era ricca di affreschi. La decorazione, che aveva per tema le Gerarchie angeliche, venne realizzata verso il 1310 da un artista veneziano, fortemente influenzato dalla pittura bizantina. Le Gerarchie, già in parte danneggiate per l’inserimento sulle pareti di due tombe della famiglia Dotto, andarono completamente perdute a causa del bombardamento dell’11 Marzo 1944. Il monumento funebre oggi conservato è quello di Diamante, moglie di Paolo Dotto, e un tempo era decorato con l’affresco dell’Incoronazione della Vergine, eseguito nel 1372 dal pittore veronese Altichiero. L’affresco, distrutto nel corso del bombardamento del 1944, risentiva in modo notevole dell’influenza di Guariento.

Subito dopo le tre cappelle sul lato destro si può ammirare la splendida cappella Ovetari.

– La Cappella Ovetari presenta una campata quadrangolare coperta a crociera e l’abside poligonale coperta da una volta a ombrello. Fu eretta dal notaio Antonio Ovetari e affrescata dalla moglie dopo la morte del marito. L’incarico fu affidato  Giovanni d’Alemagna, Antonio Vivarini, Niccolò Pizzolo, Ansuino da Forlì e al giovane Andrea Mantegna, all’epoca diciassettenne e allievo dello Squarcione.

Mantegna iniziò a dipingere dagli spicchi del catino absidale, dove lasciò tre figure di santi, Pietro, Paolo e Cristoforo entro una cornice in pietra impreziosita da festoni di frutta. In seguito si dedicò probabilmente alla lunetta della parete sinistra, con la Vocazione dei santi Giacomo e Giovanni e la Predica di san Giacomo, completati entro il 1450, per poi passare al registro mediano. Nel 1449 sorsero i primi contrasti tra Mantegna e Nicolò Pizzolo, con il primo citato in giudizio dal secondo a causa delle continue interferenze nell’esecuzione della pala della cappella. Ciò comportò una redistribuzione da parte dei committenti del lavoro tra gli artisti. Probabilmente per questi contrasti Mantegna sospese il suo lavoro e si trasferì a Ferrara. Dopo la morte di Nicolò Pizzolo avvenuta nel 1453, i lavori furono ripresi dal Mantegna. In questa seconda fase completò le Storie di San Giacomo e il registro inferiore con le Storie di San Cristoforo, iniziate da Bono da Ferrara e Ansuino da Forlì, dove realizzò due scene unificate: il Martirio e trasporto del corpo decapitato di san Cristoforo.

In quest’ultimo periodo Mantegna affrescò anche la parte centrale della Cappella con l’assunzione della Vergine, già riservata al Pinzolo. Con l’esiguo spazio a disposizione Mantegna fu costretto a impostare la scena in maniera verticale su due registri, con la Madonna raffigurata in alto all’interno della mandorla tra angeli festosi, e otto apostoli raffigurati a semicerchio a ridosso dell’arcone a grandezza naturale in basso, con il centro decorato da una zona scura. 

Tra il 1453 e il 1457 la committente Imperatrice Ovetari intentò una causa contro Mantegna, poiché in questo affresco il pittore aveva raffigurato solo otto apostoli a grandezza naturale invece di dodici. Vennero chiamati a dare un parere i pittori Pietro da Milano e Giovanni Storiato che giustificarono la scelta di Mantegna per la mancanza di spazio.

La chiesa e l’ex convento furono gravemente danneggiati durante il bombardamento anglo-americano dell’11 marzo 1944. Tra le trecento tonnellate di bombe cadute su Padova ci fu una che distrusse la chiesa. Fu un grande colpo al cuore della città, una catastrofe non solo umanitaria, ma anche artistica. I danni furono ingentissimi: la cappella Ovetari,  affrescata dal Mantegna,  andò completamente distrutta, così come quella del Guariento, l’abside, il coro con le due cappelle laterali, il tetto ad arco tribolato e l’altare maggiore, arricchito da sculture marmoree del IX secolo. Rimase in piedi la sagrestia, dove erano custoditi alcuni capolavori pittorici del Mantegna e della scuola di Tiepolo. La causa dell’incursione aerea fu che nell’ex convento, dopo la soppressione, si era installato un presidio militare (la caserma Gattamelata). Un’altra motivazione è la localizzazione della chiesa vicino alla stazione dei treni, importante snodo dei traffici nel nord-est dell’Italia. Dopo la grande guerra la cappella Ovetari fu ricostruita e furono ricollocati in loco i due affreschi originali dipinti dal Mantegna con l’Assunzione della Vergine ed il Martirio di San Cristoforo che, essendo stati strappati, non furono danneggiati dal bombardamento. Oggi la cappella si presenta come un grande puzzle, comunque è possibile farsene un’idea mediante foto d’epoca, in bianco e nero, e tramite alcuni frammenti sparsi che sono stati ricomposti in occasione del restauro concluso nel 2006.

Dopo la grande guerra la cappella Ovetari fu ricostruita e furono ricollocati in loco i due affreschi originali dipinti dal Mantegna con l’Assunzione della Vergine ed il Martirio di San Cristoforo che, essendo stati strappati, non furono danneggiati dal bombardamento. Oggi la cappella si presenta come un grande puzzle, comunque è possibile farsene un’idea mediante foto d’epoca, in bianco e nero, e tramite alcuni frammenti sparsi che sono stati ricomposti in occasione del restauro concluso nel 2006. I lavori di ricostruzione e di restauro della devastazione di tale bombardamento si protrassero per ben dieci anni e la lentezza di tale processo è giustificato proprio dalla volontà di fare un’opera accurata riportando la chiesa alle linee originali, “ripulendola” soprattutto dai barocchismi che l’avevano appesantita nei secoli. Per il pavimento fu usato marmo di grande pregio tra cui quello rosso di Verona particolarmente bello per il colore e le venature. Ma questo marmo riserva anche un’altra sorpresa: è ricco di fossili. E’ così che nelle lastre rosse degli Eremitani si può ammirare un grande numero di queste vestigia delle epoche geologiche. Soprattutto spiccano delle splendide ammoniti, talune di grandi dimensioni (la più spettacolare ha ben 45 cm di diametro) che uno sguardo curioso può divertirsi a scoprire. Alcune delle più belle e grandi si possono ammirare proprio nella prima parte del pavimento, quella sgombra dai banchi. Altre sono più nascoste ma ben delineate, con la loro forma a spirale, tra le venature del marmo. Così, nella chiesa ricca d’arte ci sono anche capolavori della natura, e potremmo dire, senza troppi salti logici, capolavori del Creatore.

Proseguendo lungo la parete destra della navata, troviamo la Cappella della famiglia Cortellieri, chiamata Cappella del Sacro Cuore.

Qui troviamo un ciclo di affreschi di figure, in gran parte perduto, con La Gloria di sant’Agostino con le Virtù e con le Arti Liberali, commissionato a Giusto de’ Menabuoi nel 1370 dalla madre di Tebaldo Cortellieri, morto nella piena maturità, uomo coltissimo e celebre giurista. Le giovani figure femminili, le poche figure sopravvissute alla distruzione del 1606, sono realizzate con un’ampiezza volumetrica “neo-giottesca” che Giusto apprende da Giotto agli Scrovegni ma anche dai pittori attivi con Giotto a Milano negli anni dal 1335 al 1337 e da pittori lombardi di cultura giottesca.

Sull’altare troviamo la Madonna del Buon Consiglio e l’Ovale con la riproduzione dell’immagine venerata nella Chiesa degli Agostiniani di Genazzano (Roma) dal 1467. (Rimossa dalla Chiesa in seguito all’eliminazione dell’altare barocco che la conteneva, nell’opera di restauro seguita al bombardamento del 1944, e da allora mai più esposta alla venerazione dei fedeli).

Le due sculture raffiguranti Sant’Agostino e Santa Monica prima del 1884 stavano ai lati dell’altare della cappella un tempo di Sant’Agostino, e successivamente dedicata alla Beata Vergine della Cintura. Furono scolpite da Antonio Bonazza probabilmente verso la metà del Settecento, e sono molto vicine alle sculture con il medesimo soggetto realizzate per la chiesa di Sant’Agostino di Bovolenta (PD).

– Sant’Agostino è raffigurato come un vecchio dalla lunga barba; indossa il lungo saio dei monaci stretto ai fianchi da una cintura di cuoio, a cui si sovrappongono le vesti e le insegne vescovili: la croce pettorale al collo, la stola, il piviale fermato sul petto, la mitria ai suoi piedi. Con lamano destra regge un libro aperto, che allude ai suoi numerosi scritti, e con la sinistra (oggi mancante) forse teneva un cuore fiammeggiante, simbolo del suo ardore religioso.

– Santa Monica, madre di Agostino, è ricordata dalla tradizione come la donna che ha sempre vegliato sul figlio durante la sua travagliata ricerca spirituale, fino alla conversione alla fede cristiana: Antonio Bonazza, con la sensibilità ritrattistica che gli è propria, la raffigura come una donna anziana in abiti monacali, con il volto scarno e segnato dalle rughe, il capo chino e la mano destra portata al petto in un gesto di accorata preghiera. E’ la Protettrice delle mamme, delle spose e delle vedove.

All’ingresso dalla chiesa troviamo due monumenti funebri, a sinistra di Jacopo II da Carrara con un’iscrizione dettata dal Petrarca e a destra di Ubertino da Carrara, entrambi signori della Padova trecentesca. Sono stati realizzati tra il 1345 e il 1351 dallo scultore Andriolo De Santi (noto anche come Andriolo da Venezia) e dal lombardo Bonino da Campione a cui sono state attribuite le due Madonne con il bambino nelle nicchie centrali dei sarcofagi. I monumenti furono qui trasportati dalla distrutta chiesa di Sant’Agostino all’inizio del XIX secolo. I sepolcri scolpiti sono sorretti da mensoloni con decorazioni vegetali, di sapore classicheggiante. Sulla base mistilinea si ergono cinque figure armoniosamente disposte all’interno di nicchie a conchiglia: in entrambe le opere, una Vergine con Bambino al centro e quattro Angeli cerofori agli angoli. Sulla fronte del catafalco, nella porzione superiore, quattro Angeli oranti a mezzo busto, con le ali aperte e le mani giunte in preghiera, più altri due Angeli genuflessi sui due lati brevi dell’arca. Sul sarcofago sono adagiati i gisants che ritraggono con efficace realismo i due Signori cittadini. Appena inclinati verso il basso, in modo da risultare ben visibili, i due defunti sono compostamente sdraiati con le braccia conserte.

I da Carrara regnarono a Padova dal 1318 fino al 1405 trasformando la città nel più importante centro artistico dell’Italia settentrionale. Non solo fecero scavare canali, deviarono fiumi, fecero fortificare le città di Este, Asolo, ecc… ma grazie al loro mecenatismo e alla loro cultura divennero il polo di attrazione per i migliori letterati, poeti, pittori e scultori del tempo. Durante il loro dominio Giotto affrescò la Cappella degli Scrovegni, si eressero e si adornarono i più importanti edifici della città tra cui il Palazzo della Ragione, la chiesa del Santo, il Battistero ecc.  

  • Jacopo o Giacomo II fu famoso per aver creato attorno a sé una corte di artisti che diedero lustro alla città e ai Da Carrara. Fu grazie alle sue insistenze che si trasferì a Padova Francesco Petrarca, nominato canonico del Duomo cittadino nel 1349 per sua intercessione. Giacomo intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di circa 200 ducati d’oro. Giacomo venne pugnalato a morte il 19 dicembre 1350 da Guglielmo da Carrara, figlio illegittimo di Giacomo I, che fu immediatamente trucidato dagli astanti. Guglielmo avrebbe assassinato Giacomo a causa del divieto di uscire dalla città ricevuto dalla Signoria a causa del suo comportamento violento. Dopo l’omicidio il Petrarca lasciò la città per Valchiusa. Durante il viaggio, a Lonigo, non lontano da Padova, scrisse a Giovanni d’Arezzo la notizia del tragico avvenimento (Familiari, XI, 3), e compose il testo dell’iscrizione funebre in distici elegiaci per il Carrarese:    “Ahi casa angusta per un uomo grande! Sotto il tuo breve marmo giace il padre della patria, sua speranza e salvezza. Chiunque tu sia, lettore che volgi il tuo sguardo a questo marmo, leggendo di questa rovina della città, unisci alle lacrime le tue preghiere”.                                                                                                                                     L’epitaffio si trova sotto la tomba.
  • Ubertino da Carrara (Padova, inizio del XIV secolo – Padova, 29 marzo 1345) è stato un politico e condottiero italiano. Durante i suoi cinque anni di potere, Ubertino lavorò molto per migliorare Padova internamente. Fin dal 1339 avviò una serie di riforme. Molte furono le opere architettoniche: nel 1343, completò il muro iniziato dal cugino Marsilio e realizzò un nuovo palazzo. L’anno seguente, sulla torre dello stesso palazzo fece montare un orologio a 24 ore. Poi fece ripavimentare la strada che porta da Padova a Camposampiero, così come fece sistemare tante altre strade. Altra opera molto importante fu quella di aver arginato i fiumi per evitare le inondazioni e l’erosione, e poi fece scavare il canale da Este a Montagnana. In ambito economico, lavorò al potenziamento dell’industria e del commercio. Fece creare delle industrie tessili laniere a Ognissanti e Torricelle e industrie cartiere a Battaglia Terme. Inoltre per sfamare il suo popolo fece importare frumento dalla Svevia a costi molto bassi. La sua azione di governo si mosse anche in ambito culturale, favorendo lo studio collaborando con l’Università di Padova.

Al suo interno riposano molti insigni personaggi, fra cui le spoglie del cavalier Zanino da Peraga, Ilario Sanguinacci, Jacopo da Forlì, la nobile Vittoria Accoramboni, il medico e biologo Antonio Vallisneri, la cantante e compositrice Barbara Strozzi e il giurista Marco Mantova Benavides.

Quest’ultimo si fece costruire nel 1544 un grandioso mausoleo funebre che fu realizzato dallo scultore fiorentino Bartolomeo Ammannati. Nella parte bassa ai lati del sarcofago vi sono le due statue del Lavoro e della Pazienza, mentre nella parte superiore, al centro, vi è il ritratto del defunto tra le statue del Tempo e della Fama. Il tutto è dominato nella parte alta dalla Immortalità affiancata da due putti. Il monumento è stato realizzato in pietra gialla di Nanto, mentre le statue sono in marmo bianco.

  • Marco Mantua Benavides, (Padova, 25 novembre 1489 – Padova, 2 aprile 1582) è stato un umanista, giurista e collezionista italiano. La sua famiglia, di origine spagnola, si era trasferita a Padova da Mantova, città della quale aveva assunto il cognome. Marco studiò giurisprudenza all’Università di Padova, città dalla quale non si allontanò mai durante la sua vita. Dopo essersi addottorato, dal 1518 fino al 1564 insegnò diritto civile, canonico e penale nell’ateneo di Padova. Era appassionato d’arte, spendeva tutti i suoi guadagni nella raccolta di opera d’arte e documenti antichi. Curò le opere di Francesco Petrarca di cui tradusse alcune liriche del Canzoniere in lingua latina. Fu consulente di papi e degli imperatori Carlo V e Ferdinando I.Parte della collezione fu donata nel 1733 all’Università di Padova da Antonio Vallisneri.

Ingresso Libero

 

Orari di visita:

Invernale: festivo dalle 9 alle 12.30 e dalle 16 alle 19; feriale dalle 7.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.

Estivo: festivo dalle 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 20; feriale dalle 8.15 alle 18.45.

 

Orari messe:

Lunedì   7.45

Martedì  7.45 – 19.30

Mercoledì – Venerdì  7.45

Sabato 18.00

Domenica 11.00 – 12.00 – 19.00

 

Telefono: +39.049.8756410

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