La Cittadella della Memoria

La Legge 20 luglio 2000 n. 211 ha istituito il “Giorno della memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Il 27 gennaio è la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (Sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

La Cittadella della Memoria si trova a tre km dal centro storico della città, nel quartiere Terranegra e raggruppa: Il Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto, Il Museo dell’Internamento e Il Giardino dei Giusti del Mondo.

Tempio Nazionale dell'Internato Ignoto

In origine la chiesa fu intitolata a San Gaetano da Thiene e fu fatta erigere nel 1670 dal vescovo di Padova Giovanni Barbarigo. Il Tempio che vediamo oggi è un sacrario e una chiesa cattolica, realizzata a ricordo di tutti gli italiani internati nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Fu eretto tra il 1949 e il 1953 per volontà del parroco di Terranegra mons. Giovanni Fortin, internato nel lager di Dachau per aver aiutato, la sera del 5 dicembre 1943, dodici militari dell’esercito inglese e neozelandese scappati da un campo di prigionia e ricercati dai soldati tedeschi dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943. I nazifascisti lo arrestarono il 14 dicembre 1943 con la condanna d’essere “Traditore della Patria” e usci vivo dal campo di concentramento nel giugno del 1945. Sopravvissuto alla deportazione di Dachau, don Fortin si impegnò perché l’edificio di Terranegra, da lui ideato e già in costruzione nella sua parrocchia, diventasse un Tempio-Ossario con annesso Museo della Deportazione. I deportati italiani (militari e civili) nei campi nazisti furono, dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto, circa 650.000 e circa 70.000 non fecero ritorno. Gli ebrei sterminati nell’Olocausto (circa 6 milioni), tra i quali molti italiani, sono pure ricordati a Terranegra. Durante la seconda guerra mondiale, il 20 aprile 1944, tutta l’area di Terranegra fu colpita da un bombardamento aereo alleato che causò la morte di 180 civili e la distruzione di gran parte degli edifici presenti nel quartiere.

Si accede lungo un viale dove sono collocati 27 cippi in trachite con croci di bronzo con incisi i nomi dei campi di concentramento  o di sterminio (Dachau, Fullen, Belsen, Thorn, Beniaminowo, Czestochawa, Deblin-Irena, Przemysl, Versen, Potsdam, Nuernberg, Buchenwald, Sandbostel, Mauthausen, Gross-Hesepe, Zeithain, Wietzendorf, Auschwitz, Hammerstein), delle località di Rodi Egeo, Corfu’ e Cefalonia Jonica, dei 78 internati fucilati e dei caduti nel lager di Kassel, delle nobili figure del Cardinale Giuseppe Beran (Arcivescovo di Praga, internato a Dachau e morto a Roma nel 1969), di Don Giovanni Fortin, di S.M. Massimiliano Kolbe e di Mafalda di Savoia D’Assia.

Sulla gradinata d’ingresso a destra troviamo un plinto di trachite martellata, con incise le parole “Mai più reticolati nel mondo” e l’antenna portabandiera su cui sventola il tricolore.

Il Tempio, progettato da Stanislao Ceschi e dall’architetto Pompeo Vinante, è in stile romanico moderno a forma di croce latina; si accede attraverso tre cancelli di ferro battuto, a forma di filo spinato. All’interno del Portico troviamo 8 grandi lapidi di marmo di colore amaranto che ricordano alcuni campi di internamento. Ai lati troviamo due cappelle.

Nel sacello a destra troviamo la Tomba di Don Giovanni Fortin e il monumento del “Trionfo dell’amore sul dolore” opera realizzata da Federico Gerolimini di Senigallia, padre di un ragazzo morto nei lager. 

Nel Sacello di sinistra troviamo la Tomba dell’Internato Ignoto, che custodisce le spoglie di un Internato (insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare) prelevate da una fossa comune di Colonia (Germania). Il sarcofago è sormontato da una struttura in cotto denominata “Cristo Morto di Buchenwald”, opera realizzata dallo scultore Mirko Vucetich. Le 18 vetrate sono opera del padovano Antonio Bastianello e raffigurano gli eventi bellici, la deportazione, gli aguzzini, il dolore e la morte. Sulle vetrate, campeggiano tre parole che riassumono un grande significato “Ricordare, Imparare e non odiare”.

 In entrambe le cappelle troviamo diverse lapidi con incisi i nomi dei prigionieri morti nei lager nazisti.

 

Il 13 settembre 1999 il Presidente del Senato Nicola Mancino consegnò la Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita dall’allora Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro alla memoria dell’Internato Ignoto.

La medaglia fu conferita il 19 novembre 1997 con la seguente motivazione:

“Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all’onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera. A memoria di tutti gli internati il cui nome si è dissolto, ma il cui valore ancora oggi è esempio di redenzione per l’Italia”.

L’interno del Tempio è a tre navate, divise da colonne di marmo di Verona. Sulla sinistra si innalzano due altari, il 1° è dedicato a san Massimiliano Kolbe, patrono di tutti i prigionieri (con dipinto del pittore fiorentino ex internato Pietro Ricci). Il frate francescano, nato nel 1894 a Zdunska Wola, nella Polonia occupata dalla Russia, si è offerto spontaneamente alla morte per sostituire un padre di famiglia destinato al “bunker della fame” nel Campo di concentramento di Auschwitz.  Il 2° altare c’è il gruppo scultoreo della “Pieta’”, opera di Mirko Vucetich (offerto dal principe Filippo d’Assia, marito della principessa Mafalda di Savoia, figlia secondogenita del re Vittorio Emanuele III, perita a Buchenwald). L’immagine della Madonna che abbraccia Gesù rappresenta l’omaggio a tutte le madri colpite dalla perdita di un proprio caro.

Nell’abside, il grande Crocefisso che sovrasta l’altare maggiore è una pittura su legno realizzata da Mirko Vucetich, artista veronese di origine dalmata. L’opera, fortemente simbolica, è una trasposizione della drammatica vicenda dei deportati nei Lager. Il perizoma che circonda la parte inguinale del Cristo rappresenta le divise rigate degli internati; sul lato destro, guardando proprio all’altezza dell’anca, c’è un piccolo triangolo rosso come quello che i deportati politici portavano sulla casacca. Il pittore ha voluto ricordare come anche Gesù sia stato condannato per un “reato” politico, ossia per aver “attentato” alla sovranità di Roma. Ai piedi della Croce è rappresentato un atto di misericordia: un sacerdote cristiano con la stola e l’abito del prigioniero raccoglie con le mani il sangue di Cristo e lo riversa sul capo, coperto dall’elmetto, di un soldato tedesco; l’uomo sulla destra, un ebreo riconoscibile dal distintivo giallo con la stella di Davide, poggia una mano sulla spalla del soldato nazista, mentre con l’altra si copre il volto. Ai lati della croce troviamo due dipinti di A. Gatto “La Vergine e S. Giovanni”.

Sulla navata destra, si trova l’altare in onore di Edith Stein, filosofa carmelitana tedesca uccisa ad Auschwitz perché di origine ebraica. Ai lati dell’altare sono collocate due grandi lapidi con le urne di 185 italiani sepolti a Most (Repubblica Ceca). La collocazione all’interno del Tempio avvenne nel 1998 dopo il loro causale rinvenimento: passava la ruspa per spianare il terreno quando apparvero delle ossa e dei crani; continuando a scavare emersero le spoglie degli italiani, riconosciuti come tali grazie alle piastrine rinvenute tra le ossa.

Orario Sante Messe:

Prefestivo 18.30 – Festivo 8.00 – 10.30 – 18.30

Contatti: Rettore del Tempio Tel. 049 851458 

Museo Nazionale dell'Internamento

Il Museo Nazionale dell’Internamento, unico nel suo genere in Italia, è stato inaugurato il 19 settembre 1965 dal Cardinale Giuseppe Beran, Arcivescovo di Praga, ex deportato, e dal Ministro della Repubblica Italiana Luigi Gui, ex partigiano. Il museo custodisce un ricchissimo patrimonio storico e sociale e raccoglie nelle sale diversi cimeli, fotografie, filmati e documenti  esclusivi che testimoniano la storia degli Internati Militari Italiani, gli (I.M.I.), circa 40.000 militari, che rifiutarono in massa di aderire alla Repubblica di Salò e per questo persero  la vita nei lager.

Dopo la proclamazione dell’armistizio nel settembre del 1943, i circa 650.000 I.M.I., catturati in patria o nei fronti di guerra, furono destinati ad una vita di sofferenze per non aver voluto continuare a combattere con i nazisti e con i fascisti, contro altri italiani. Ufficiali, sottufficiali, soldati, medici e cappellani militari furono chiusi nei carri ferroviari  e trasferiti in Polonia o in Germania. Soffrirono di fame, malattie e stenti: più di 40.000 non tornarono mai in patria.

Il museo è composto da più sale:

La sala della storia, raccoglie varie tipologie di cimeli (elmetti tedeschi e italiani, l’abbigliamento di un soldato, armi, maschere antigas, tre Radio Caterina, gavette, posate, il bilancino della fame con il quale nelle baracche i militari Italiani si dividevano il poco cibo disponibile, il rasoio ecc.) e un grande plastico del lager militare di Sandbostel (Bassa Sassonia Germania);

La sala della memoria, contiene albi fotografici di centinaia di soldati italiani morti nei lager nazisti, diari personali, lettere scritte dai prigionieri; le piastrine di identificazione, i guanti della principessa Mafalda di Savoia (figlia del re Vittorio Emanuele III deceduta nel lager di Buchenwald), la madonnina di Wietzendorf (realizzata da un soldato italiano con il fango di concetramento) e alcune divise e oggetti personali di don Giovanni Fortin e Luigi Bazzato.

In fondo alla sala troviamo un “Famedio” che accoglie le urne contenenti le ceneri di alcuni dei più atroci campi di sterminio nazista: Bergen Belsen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen.

Troviamo anche una sala polivalente, una biblioteca con 800 libri, un archivio, una videoteca, una quadreria e, nel piazzale interno del museo c’è un carro bestiame che evoca il passaggio degli I.M.I. verso i lager.

L’ingresso è preceduto da tre raffigurazioni in rame, opere dell’artista rom Loris Levak e di E. Andreatta (a ricordo dei 500mila rom e sinti caduti nei campi di concentramento nazisti. 

Solo perché diversi vi hanno considerato nemici e giorno per giorno il lager vi ha ingoiato nella morte ed eravate 500mila, quando non foste e non siete che un pugno inerme di uomini. Ora qui davanti a questo muro, con un disegno scolpito nel metallo che da sempre è richiamo del vostro pane, ne facciamo memoria. Ed è gloria per voi e a voi popolo rom, popolo dei scinti nella ruota stellata che vi identifica come gli uomini in cammino, nomadi per scelta e per cultura, voi perpetuate il richiamo dell’uomo pellegrino nel tempo e nello spazio mente due mani intrecciano un gesto che scambia nella rosa il sorriso di un’amicizia che è ospitalità  del vivere vicini, uguali anche se diversi.

Internati dentro ai lager

A ridosso del filo spinato confine tra la morte e la vita, tra la schiavitù e la libertà. Schiere di corpi deformati  dalla fatica del lavoro, membra appena accennate di esseri ancora in vita, coi piedi che affondano sulla mota del vallo, colla flebile nostalgia di una libertà oltre il reticolato, raccolti insieme senza un volto a riprodurre la distruzione dell’uomo, ad esprimere col dolore dei singoli quello di tutti, quello universale. Sono ripresi intrecciando le loro mani a fondere la solidarietà di un destino e di un’unica speranza che trova nella Croce, la fondata certezza che ogni povero cristo nel lager col Cristo crocefisso passa alla vita dei risorti.

La croce è il segno della speranza che può superare il dramma della morte. Sopra la croce, riverso sul legno e sul metallo, noi cogliamo il Cristo Crocefisso e Risorto e unitamente a Lui vediamo il corpo martoriato di ogni povero Cristo, di ogni Internato, di ogni Infoibato, di ogni Martire caduto per la libertà.

Orario di apertura: tutto l’anno da giovedì a domenica, dalle 9 alle 12.00. Anche il pomeriggio in ora legale, da giovedì a sabato dalle 16.00 alle 19.00.

Chiusura estiva 15/7 – 31/8, apertura serale in periodo sagra (San Gaetano – 7 agosto)

Contatti: www.museodellinternamento.it  –  Mail: direzione@museodellinternamento.it / anei.padova@gmail.com

Telefono: 049 6883370 Tel./Fax  049 8033041

Giardino dei Giusti del Mondo

La legge 212 del 2017 istituisce il 6 marzo come “Giornata dei Giusti dell’umanità”, dedicandola a mantenere viva e rinnovare la memoria di coloro che si sono battuti in favore dei diritti umani durante i genocidi e hanno difeso la dignità della persona rifiutando di piegarsi ai totalitarismi e alle discriminazioni tra esseri umani.

Di fronte al Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto, sorge il Giardino dei Giusti nel mondo, uno spazio verde che si snoda lungo il fiume, dedicato a uomini e donne che, in ogni parte del mondo, si opposero ai genocidi. Per onorare questi giusti, ogni anno si piantano un albero da frutto ed una stele in loro ricordo. Fu inaugurato il 5 ottobre 2008 dal comune di Padova nell’ambito del progetto “Padova Casa dei Giusti”. Il giardino è delimitato a destra da un muro principale e da altre due pareti che racchiudono un area nella quale è collocato il monumento dello scultore Elio Armano, una piccola foresta di menhir di cemento e acciaio, disposti non simmetricamente e con diversa inclinazione, innalzati alla memoria di un Novecento pieno di progresso e di tragedie, di ideali e di odio.

Gli alberi qui piantati ricordano colore che, anche con rischio della propria vita, hanno operato, in qualsiasi parte del mondo, per salvare le persone minacciate di genocidio. Che siano di esempio per tutti.

Con il nome dei “Giusti” si intendono persone esemplari che, dovendo sottostare a condizioni di patente ed imperante ingiustizia ed operando in qualsiasi campo o schieramento, si sono attivate, anche con rischio della vita, per contrastare un genocidio in atto o la cultura del genocidio, con l’intento di vanificarne, anche in parte, gli effetti. Il “Giusto” si è adoperato in modo concreto per la salvezza dei perseguitati o è intervenuto a favore della verità storica contro i tentativi di giustificare il genocidio o di occultare le tracce dei misfatti e le responsabilità dei carnefici.

Per “Genocidio” si intende l’intenzionale e sistematica soppressione di un gruppo nazionale, etnico o religioso in quanto tale, senza alcun reale riferimento a ciò che i suoi membri fanno o pensano. Prova evidente di un piano genocidario è l’intenzionale e sistematica soppressione dei bambini, gli innocenti per antonomasia.

Gli alberi sono dedicati a Giusti di quattro diversi genocidi:

Genocidio in Ruanda (Aprile Luglio 1994)

Il genocidio in Ruanda si compì tra l’aprile e luglio del ’94, quando gruppi militari e paramilitari di etnia Hutu, appoggiati anche da civile, sterminarono a colpi di arma da fuoco, machete, bastoni chiodati, gran parte della minoranza di origine Tutsi. A innescare il massacro fu l’abbattimento dell’aereo del presidente ruandese, Habyarimana, che tornava con il presidente del Burundi dalla Tanzania, dove si cercavano soluzioni di pace a una guerra civile che imperversava in Ruanda da quattro anni. Le cause remote delle atrocità sono da ascrivere alla complessa situazione sociale, cui non fu estraneo il ruolo del dominio coloniale europeo nell’esaltare le divisioni etniche tra Hutu e Tutsi.  Il genocidio non risparmiò la componente moderata della stessa popolazione Hutu, e fu accompagnato da stupri e torture nei confronti di donne e bambine.

Genocidio in Bosnia (1992-1995)

Nel marzo del 1992, in seguito a un referendum, la Bosnia si dichiarò Stato autonomo. La risposta dei serbi bosniaci e del governo centrale jugoslavo fu feroce: l’esercito serbo-bosniaco, appoggiato da unità paramilitari serbe, iniziò la pulizia etnica della parte orientale e settentrionale della Bosnia. Vi dovevano restare solo popolazione serbe. Si infierì soprattutto sui musulmani bosniaci. Gli uomini furono rinchiusi in campi di concentramento e sottoposti a brutalità d’ogni tipo. Le donne subivano sistematiche e programmate violenze, ristrette in veri e propri campi di stupro. I musulmani sterminati costituiscono circa il 70% del totale delle vittime delle guerre nella ex Jugoslavia.

Genocidio degli Ebrei – La Shoah (1939 – 1945)

Preparato con la negazione dei diritti civili in Germania nel 1933, è stato eseguito sistematicamente dai nazisti durante l’occupazione dei paesi europei nel corso della seconda guerra mondiale, spesso con la collaborazione dei governi loro alleati. Lo sterminio è stato attuato con l’arresto e la fucilazione immediata di intere famiglie, con la deportazione in campi di concentramento, con l’internamento in ghetti in condizione subumane e la successiva soppressione dei sopravvissuti. Nei paesi più colpiti è morto il 95% della popolazione ebraica. La cultura ebraica dell’Europa orientale (jiddish) è praticamente scomparsa.

Genocidio degli Armeni – Metz Yeghern (1915 – 1916)

Lo sterminio degli Armeni in Anatolia fu pianificato e realizzato dai Turchi del partito “Unità e Progresso”, al potere nell’allora Impero ottomano dal 1908. Il genocidio iniziò nella primavera del 1915 con l’eliminazione degli uomini validi e il rastrellamento, a partire dal 24 aprile, dell’èlite armena di Costantinopoli; infuriò nelle sette provincie orientali fino all’autunno del 1916 con la deportazione di anziani, donne e bambini costretti a marciare verso i deserti siriani e sottoposti a massacri e a violenze inimmaginabili. Pochi sopravvissero. La quasi totalità degli Armeni scomparve dalla terra dove l’identità e la cultura di quel popolo si erano sviluppate nel corso di più di duemila anni.

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