Musei Civici agli Eremitani

In piazza Eremitani sorge il complesso museale più antico d’Italia, che raggruppa il Museo Archeologico e il Museo d’Arte Medievale e Moderna. Il museo Archeologico deve la sua esistenza al noto intellettuale Alessandro Maggi da Bassano, collezionista di lapidi e monete che nel Cinquecento viveva nella “Casa degli Specchi” in via Vescovado. La collezione del Maggi passò nel 1817 al Comune di Padova che costituì di fatto il primo e più importante nucleo del futuro museo, grazie all’abate padovano Giuseppe Furlanetto, studioso di antichità, che fece spostare la collezione nelle logge del Palazzo della Ragione. La prima esposizione pubblica museale fu inaugurata da Francesco I d’Austria nel 1825. Nei decenni successivi il primo direttore Andrea Gloria ebbe l’idea di esporre anche le numerose opere d’arte provenienti dalle chiese dagli ordini religiosi soppressi, in particolare quelli posseduti dai monaci del Convento di S. Giovanni di Verdara, le cui raccolte furono assegnata al Comune.  

Nel frattempo la collezione del museo continuava ad espandersi e ben presto la sede museale si rilevò inadeguata, in quanto le donazioni erano continue e cospicue. Tra il 1864 e il 1865 arrivarono ben 162 lasciti da famiglie padovane tra cui la raccolta del notaio Antonio Piazza, i dipinti del Palazzo della famiglia Mussato e del conte Leonardo Emo Papodilista; 540 dipinti tra cui opere di Giorgione, Tiziano, Giovanni Bellini, Tiepolo, Tintoretto e altri artisti dell’epoca.

Il museo venne così trasferito nel 1880 in una sede più grande, in un edificio in Piazza del Santo e lì rimase per un secolo, ovvero fino al 1984, quando, sempre per ragioni di carenza di spazi, si decise di trasferire nel 1985 nella nuova sede del complesso dell’ex convento agli Eremitani, restaurato a cura dello studio Albini.

Il percorso museale si snoda lungo 19 sale, che documentano la storia della città da periodo VIII a.C. al VI d.C.. Nelle prime sale troviamo l’esposizione di reparti di epoca preromana, provenienti da necropoli patavine, le successive sono dedicate alla collezione egizia, alle ceramiche etrusche, greche e magno greche, alle gemme antiche e moderne. Una sezione è dedicata alla Via Annia, la grande strada realizzata in epoca romana per collegare l’Italia nordorientale al resto della rete viaria della penisola. Il piano superiore è occupato dal Museo d’Arte medievale e moderna, circa 3000 dipinti datati dal ‘300 al ‘800, oltre ad un’ampia collezione di sculture ed frammenti decorativi ed architettonici. Il chiostro invece ospita la ricca collezione lapidaria, costituita da colonne, trabeazioni, capitelli, fregi, elementi architettonici, per lo più rinvenuti nella zona dei Colli Euganei e d Padova. Fanno parte del complesso Museale anche la Cappella degli Scrovegni e Palazzo Zuckermann.

Tra le opere di maggiore rilievo troviamo:

Il Crocifisso di Giotto.

Fu realizzato su una tavola di pioppo a forma di croce sagomata tra il 1303 -1305. L’opera, proveniente dalla Cappella degli Scrovegni, è incastonata in una preziosa cornice dorata a motivi fogliacei, dipinta su entrambi i lati.

Il Redentore è raffigurato nella parte alta della croce, nella parte bassa la rappresentazione del Calvario (montagna del Golgota) col teschio di Adamo su cui gocciola il sangue per redimere il Peccato originale del progenitore, mentre la Vergine Maria e San Giovanni sono collocati alle estremità dei due bracci. L’espressione del Cristo è sofferente ma dignitosa, di grande spiritualità, il corpo è scarno e allungato, con passaggi di colore morbidi e calibrati, caratteristico stile dei crocifissi grotteschi.

Il retro è molto più rovinato e mostra al centro l’Agnello mistico con i simboli degli evangelisti alle estremità dei bracci della croce. Questa Croce di grande dimensione (223×164) doveva essere originariamente appesa al centro della Cappella degli Scrovegni, sopra la transenna dell’iconostasi.

L’Eterno Padre di Giotto, affresco proveniente dalla Cappella Scrovegni.

Questo dipinto realizzato su due tavole di legno, raffigurante un’immagine monumentale di Dio Padre in trono, si trovava in origine alla sommità dell’arco trionfale della Cappella dell’Arena. La tavola, ora sostituita da una copia, era destinata a chiudere un piccolo vano praticabile, al cui stipite sinistro era incardinata, soprastante il presbiterio e la cui funzione non è del tutto chiara. 

Giotto raffigura il Dio Padre con un viso nobile, con lineamenti regolari, naso dritto e occhi stretti e ravvicinati. E’ drappeggiato in un elegante chitone bianco, sul colletto strisce decorative dorate con tratti di pittura che imitano pietre preziose. L’ornamento d’oro riecheggiava l’oro nimbo che purtroppo non è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Lo sguardo è rivolto al messaggero su cui è affidata la missione divina, annunciare il futuro di Gesù a Maria. Il gesto dominante della mano destra dell’Altissimo si estende all’arcangelo Gabriele collocato più in basso, nella mano sinistra c’è una verga che sboccia con i gigli.

Un meraviglioso olio su tela di Giambattista Tiepolo.

La pala, databile al 1745-1746 e collocata nel primo altare a sinistra della chiesa di San Giovanni di Verdara, è giunta al Museo Civico nel 1866. Raffigura san Patrizio che, vissuto all’incirca fra il 385 e il 461, cristianizzò l’Irlanda, di cui fu consacrato vescovo. Era uno dei santi più venerati dai canonici regolari lateranensi. Vengono qui illustrate due sue distinte attività: quella di predicatore e quella di esorcista. Issato su un podio marmoreo e affiancato da due chierici che reggono il pastorale e la mitra, egli sembra rivolgere la sua attenzione alla donna che porta un fazzoletto in capo, secondo l’uso delle contadine, e a un giovinetto. I devoti a destra (tra cui un mendicante e una donna elegantemente vestita con collana di perle) appaiono soggiogati dal gesto esorcistico del santo, che ha appena liberato dalla possessione demoniaca uno di loro. La fuga del demonio, che sta uscendo a gambe levate in alto a sinistra, provoca la meraviglia dei due personaggi che assistono all’evento dal loggiato nel fondo. Il classicismo neoveronesiano, espresso anche tramite il candido fondale architettonico con balaustrata, si accorda con un’attenzione per la “verità” che si può vedere nella resa del piviale in seta, bordato da una fascia con figure di santi, ma qua e là sciupato dall’uso, nel podio marmoreo incrinato all’angolo o nella rappresentazione di fedeli appartenenti a diverse classi sociali. L’artista punta inoltre al coinvolgimento emozionale dell’osservatore caratterizzando con una gamma diversificata di espressioni i devoti che fanno corona alla figura del santo.

La Maddalena penitente di Antonio Canova. 

Si tratta di un bozzetto in gesso realizzato dallo scultore trevigiano tra il 1793 e il 1796. Maria Maddalena è raffigurata in ginocchio su una pietra, con il busto leggermente piegato, il capo chinato verso sinistra e con gli occhi attraversati da lacrime che ammirano un crocifisso che poggia su un teschio, simbolo dell’imminente morte. È vestita con un semplice panno tenuto su con una corda, che gli permette alle spalle di essere scoperte, parte delle quali sono coperte invece dai lunghi capelli sciolti.

L’opera proviene dalla collezione Piazza, acquistata dal Comune nel 1856.

La Madonna delle Tenerezza con il bambino sognante di Andrea Mantegna.

Si tratta di un disegno a penna e inchiostro su pergamena finissima con il fondo dipinto a tempera a colla e oro. La Vergine è seduta e tiene il suo bimbo in un abbraccio dolcissimo, le mani si toccano e i piedini paffuti del neonato le spuntano dall’incavo del braccio destro. Il viso di Maria è accostato a quello di Gesù Bambino, un guancia a guancia protettivo, materno, di struggente tenerezza. Questo capolavoro è stato definito come la più bella stampa del Rinascimento italiano e una delle più toccanti Madonne con il Bambino della storia dell’arte.

La Madonna è inserita in un paesaggio archeologico dove si riconoscono l’Arco dei Gavi e il Colosseo e le figure di un sarcofago, il bassorilievo con il “Trionfo di Bacco e Arianna”, che all’epoca si trovava nella sacrestia di Santa Maria Maggiore a Roma. Il Mantegna aveva eseguito questo piccolo quadro, di una ventina di centimetri, nel 1491 per il marchese della corte milanese Francesco Gonzaga.

Stele funeraria di Ostiala Gallenia.

Scoperta a Padova nel 1962 durante gli scavi di fondazione d’un edificio in via San Massimo. La stele e’ in calcare di Costoza, di forma rettangolare, mutila dell’angolo sinistro. La scena a bassorilievo rappresenta una biga in corsa verso sinistra con tre personaggi: un uomo, una donna e l’auriga. Sotto le zampe dei cavalli c’e’ una specie di scudo rotondo. Il soggetto e’ quello comune del viaggio agli Inferi, reso singolare dalla commistione di elementi veneti (l’acconciatura a disco, lo scialle della defunta) e romani ( le vesti dei due uomini) confermata anche dall’iscrizione destrosa, che corre sulla fascia superiore a destra del riquadro, il cui testo e’ in lingua venetica con caratteri latini. Interessante notare che il nome della donna e’ composto da un gentilizio latino, Gallenia, e da un nome di tradizione locale, Ostilia.

Schiera di Angeli armati  di Guariento di Arpo (1310 ca – 1370 ca).

Guariento di Arpo fu il primo pittore “di corte” della città. Questa meravigliosa tavola “La Schiera di Angeli armati” faceva parte della decorazione privata della cappella della Regia Carrarese;

 

Il Museo è aperto tutti i giorni dalle 09:00 alle 19:00
Chiusura: Natale, S.Stefano, Capodanno, 1 maggio

Info:
Tel. +39 049 8204551

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