Reggia Carrarese

La famiglia dei Carraresi entrò a far parte della storia di Padova e della sua provincia già dal 1027, prendendo il nome dal Castello di Carrara, menzionato sin dagli inizi del secolo XI. Proprietari di estesi fondi nel contado Padovano, i Da Carrara consolidarono la loro posizione sociale nel corso dei secoli XII-XIII, quando si stabilirono in città come vassalli del vescovo. Il primo carrarese governare su Padova fu Jacopo I il Grande, eletto dal comune “protettore, governatore e signore generale di Padova” il 25 luglio del 1318, il cui dominio si concluse già nel novembre dell’anno successivo. La sua politica di pacificazione interna, volta al consolidamento del proprio potere personale e della classe sostenitrice, trova difficoltà nelle lotte intestine e nella continua espansione delle vicine signorie, in particolare di quella Veronese degli Scaligeri. Lo succede il nipote Marsilio, che ottiene un posto privilegiato anche durante l’occupazione scaligera di Padova, in quanto assume l’incarico di vicario di Cangrande Della Scala. Quando però la signoria di Verona passò a Mastino ed Alberto Della Scala, Marsilio preferì aderire alla coalizione Venezia-Firenze, in seguito alla quale ottenne la signoria della città. Nel 1318 a Marsilio succede il cugino Umbertino che continuò la stessa linea politica di alleanza con Venezia e di ostilità nei confronti degli Scaligeri. La Signoria dei Carraresi inizia il suo più glorioso periodo di prosperità economica e di splendore culturale e artistico. Ubertino, nominato “libero e generale Signore e Gonfaloniere del Comune”, riporta pace nella città, incrementa l’industria e il commercio, favorisce lo sviluppo dell’Università e di nuovi impulsi a una serie di opere pubbliche, danneggiate dalla guerra scaligera. Porta a completamento la cintura esterna delle Mura cittadine, amplia il tessuto viario e afferma il potere in Padova con l’edificazione della reggia, come palazzo di residenza.

Il complesso si estendeva per un perimetro di 600 metri, tra la Cattedrale, lato nord, Piazza dei Signori, la Chiesa di san Nicolò e la zona del teatro Verdi, lato ovest, via Accademia lato sud. Chiusa da mura merlate con torri, la reggia era collegata alle mura della città da un traghetto, un passaggio sopraelevato di 186 metri che poggiava su ventotto arcate, alto 9 metri e largo 3. Di qui il Principe poteva inoltre vigilare dall’alto e provvedere tempestivamente all’ordine pubblico. Dichiarato rudere ingombrante e fatiscente fu completamente distrutto nel 1777; solo un rudere di un pilastro ed un arco impostato su di esso ricordano il vecchio viadotto pensile.

Esisteva un “Palazzo di ponente”, finito nel 1343, come residenza dei principi, e un “Palazzo di Levante”, iniziato antecedente la morte di Ubertino, destinato prima ad accogliere la Curia poi riservato alle donne. Entrambi i palazzi erano posti in comunicazione da un corpo centrale con ampio cortile interno circondato da un portico a colonne. Purtroppo verso la fine del 1800 il bellissimo peristilio fu demolito, insieme alla maggior parte del palazzo di Ubertino, con la sostituzione dell’edificio della scuola elementare “Reggia Carrarese” progettata da Camillo Boito.

Lo legge superiori del cortile d’onore conducevano alle due sale maggiori di ricevimento dei Da Carrara, una di fronte all’altra: la Sala Tebana, più antica e più piccola e la Sala degli Uomini Illustri o popolarmente, dei Giganti, più recente e grande. Vi erano la stanza di Nerone, dei Carri, (probabilmente con riferimento allo stemma dei Carraresi), di Ercole, di Camillo, dei Quadri, delle Bestie, di Lucrezia, delle Armi, delle Navi, delle Brentelle, dei Cimieri. Tutte decorate da cicli pittorici di cui recuperiamo solamente i cenni storici, fatta eccezione per la Sala dei Giganti, già cinquecentesca ora annessa all’edificio del Liviano, sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università, e le sale in corrispondenza dell’unico resto del loggiato di ponente, attualmente sede dell’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti di Padova.

Il 21 novembre 1405 termina il periodo della Signoria Carrarese con il dominio di Padova da parte dei Veneziani, e i palazzi subirono una grande trasformazione. Del magnifico e imponente complesso architettonico fatto erigere da Ubertino ora ne possiamo ammirare solamente un’unica parte rimasta intatta a simboleggiare la grandiosità della reggia: la Loggia Carrarese.
Il doppio loggiato e le stanze adiacenti, che ancora oggi possiamo ammirare e la cui costruzione terminò nel 1343, costituivano l’abitazione dei Principi, una delle opere architettoniche più insigni di Padova. Le slanciate ed eleganti colonne di marmo roseo veronese, impreziosite dall’uso di architravi in legno, delimitano per due lati un vasto spazio detto “praetto”, adibito un tempo a giardino è confinante a ponente con la cinta muraria.

Dopo la morte di Ubertino (1345) sotto il principato di Jacopo II, si sentì l’esigenza di costruire un luogo devozionale di preghiera e di raccoglimento, oltre che per la famiglia, anche per i numerosi ospiti, specie se prelati. La Loggia esterna fu allora chiusa e ridotta a Cappella, che il Guariento affrescò con le scene del Vecchio Testamento. Nel corso degli anni gli stessi “Ricovrati” dell’Accademia Patavina, che già dal 1780 in quell’edificio avevano la sede, decisero di abbattere una parete della Cappella privata per ingrandire la Sala delle Adunanze, distruggendo così una parte dei mirabili affreschi; tolsero dal soffitto le tavole con i famosi “Angeli”, conservate nel Museo Civico di Padova, ingrandirono le finestre interrompendo gli affreschi, murarono parte della loggia costruendo internamente un cammino. Nel 1717 la loggia fu liberata dalla sovrastruttura edificata dagli accademici e fu ripristinato il portico con le colonne. La Cappella fu affrescata tra il 1355 e il 1360 da Guariento di Arpo, pittore molto affermato a Padova e a Venezia.

Nella Sala delle Riunioni dell’Accademia la parete occidentale è ancora in gran parte ricoperta dagli affreschi originali disposti su due fasce, ciascuna sormontata da un fregio nel quale compaiono alcune scritte a caratteri gotici, in gran parte in leggibili. Sottostante alle due fasce vi è uno zoccolo a finti di quadri marmorei su cui poggia una serie di archetti decorati da fiorami. Gli affreschi si eseguono nel seguente ordine: in alto, da sinistra a destra Noè benedetto dal Signore, dai curati particolari narrati dalle Sacre Scritture. Colloquio di Abramo con i tre angeli, posto fra le due finestre, in cui si nota la solennità e l’armoniosità delle figure angeliche. Distruzione di Sodomia dai particolari architettonici della città dipinti con precisione prospettica ed eleganza nel colore. La moglie di Lot mutata in statua di sale, un’elegante figura femminile dai colori grigio-azzurro e dall’espressione significativa. Il Sacrificio di Isacco e Giuseppe venduto dai fratelli, scene con personaggi dagli sguardi intensi. Nella fascia inferiore, sempre da sinistra a destra vi è un dipinto non completamente recuperato che rappresenta un Guariento, a fianco Joachebed col figlio Mosè.

Subito dopo il Rapimento di Elia in cielo, dai toni di rosso vivo e oro, I tre fanciulli Sidrac, Misac e Abdenago nella fornace salvati dall’angelo, in cui la figura crudele di Nabucodonosor è in contrapposizione con la solennità dell’angelo e delle vittime. Giuditta decapita Oloferne, armoniosa e preziosa nelle vesti, di stile medievale e curata nei minimi particolari. Di fronte agli affreschi appena descritti sono esposti due dipinti salvati dalla demolizione che rappresentano Abramo ed Eva davanti all’Eterno e Giuseppe che interpreta i sogni del Faraone. La decorazione della Sala delle Riunioni comprende anche una preziosissima Pianta del Valle, risalente al 1784, del cartografo Giovanni Valle, primo ad usare i calcoli trigonometrici nella realizzazione delle piante e l’originale banco ad emiciclo attribuito allo Jappelli.

Visitabili sono ulteriori stanze e corridoi che recano ancora i resti di affreschi, decorazioni e raffigurazioni storiche.

La prestigiosa Reggia dei Signori di Carrara è sede dell’Accademia dei Ricovrati ora Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti, fondata nel 1599 da illustri letterati e personaggi della cultura e dell’aristocrazia veneta, tra cui Cesare Cremonini e Galileo Galilei. L’attuale missione dell’Accademia consiste nella promozione delle discipline umanistiche e scientifiche attraverso dibattiti, convegni e la discussione di ” memorie ” predisposte dai soci, nonché la messa a disposizione del pubblico di opere manoscritte e stampate, conservate fin dalla fondazione. I soci sono scelti tra emeriti docenti degli Atenei italiani e stranieri e tra rappresentanti insigni del mondo delle arti, delle tecniche e delle professioni.

Palazzo Liviano

Palazzo Liviano si trova in piazza Capitaniato, negli spazi dove un tempo si trovavano gli edifici della Reggia Carrarese; attualmente è la sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova. Progettato in stile neoclassico, fu costruito tra il 1937 e il 1939 dall’architetto milanese Gio Ponti, che già stava lavorando a stretto contatto con il rettore Carlo Anti al rinnovamenton di palazzo Bo. Fu chiamato “Liviano” in onore dello storico Tito Livio, nato a Padova nel 59 a. C.. L’artista milanese, oltre a curare la progettazione dell’edificio, decise di occuparsi personalmente anche degli elementi d’arredo: panche, banchi, cattedre, appendiabiti portano così la sua impronta, conferendo agli interni lo stesso stile riconoscibile e coerente che si ritrova in alcune sale del rettorato di Palazzo Bo, ugualmente arredato da Ponti.

All’ingresso del Palazzo troviamo un grande affresco di 250 metri quadrati realizzato da Massimo Campigli, a cui lavora per cinque mesi a cavallo tra il 1939 ed il 1940. Il soggetto è scelto dal rettore Carlo Anti, ex docente di Archeologia, che indica nella figura di Tito Livio e nell’Antichità i temi da trattare: il titolo è infatti «la continuità della cultura romana nella moderna, attraverso l’esaltazione di simboli di vita e poesia, di virtù eroica, di studio e lavoro».

L’affresco inizia dal basso della parete di fronte l’ingresso e arriva fino alla parte alta disposti su più livelli. Partendo da sinistra, se si sale la prima rampa ci si trova di fronte ai ritratti di Carlo Anti, (il secondo da sinistra, di profilo), dell’architetto Gio Ponti (colto nell’atto di indicare i lavori al rettore) e del pittore Massimo Campigli (mentre mescola i colori per l’affresco), accompagnati da un operaio. Il gruppo di personaggi poggia i piedi sopra un basamento formato da pezzi di statue classicheggianti e alle loro spalle si nota un pilastro sormontato da un capitello ionico: questi simboli dell’Antichità e dell’Archeologia sorreggono emblematicamente i tre uomini. La scena successiva vede nel registro superiore una schiera di uomini vestiti in abiti contemporanei che osserva il lavoro di tre operai che erigono una colonna istoriata. Sotto di loro si scorge un personaggio sdraiato che tiene in mano un foglio e una penna: simboleggia pertanto la figura di un poeta e a lui sono vicini quattro bambini, i quali giocano con un elaborato capitello corinzio. Questa seconda fascia di personaggi, che rappresentano l’immersione nella Classicità in maniera spontanea e ingenua, poggia ancora una volta i piedi sopra un altro livello, ovvero una massa di corpi di eroi e guerrieri.

Spostandosi al centro della parete si trova quello che resta di un edificio classico (di cui rimangono in piedi i fusti spezzati di colonne) e che viene a dividere la narrazione sulla sinistra dalla scena che si trova sulla destra. Quest’ultima è composta da due livelli: su quello superiore Campigli affresca Tito Livio, vestito in abiti romani, mentre fa lezione ad una classe di studenti universitari, abbigliata secondo la moda degli anni Trenta ma che scrive su antiche tavolette di cera. Su quello inferiore sono invece dipinti degli archeologi al lavoro mentre scoprono i tesori archeologici nascosti sottoterra.

Sulla parete minore troviamo un gruppo di operai al lavoro: nel livello superiore alcuni sono intenti ad erigere delle colonne di cemento che poggiano su segmenti di colonne antiche; più in basso, un altro gruppo di lavoratori è colto con i picconi in mano.

Tra le opere d’arte conservate nel palazzo, va ricordata, nell’atrio, la statua di Tito Livio dello scultore Arturo Martini (1942), commissionata da Mario Bellini (1863 – 1946). Il grande storico romano, autore della storia di Roma, è rappresentato nudo, rannicchiato su un fianco accanto ad un libro, riflessivo come un poeta sognatore, posato sulle rocce all’aperto: “un bambino che si inginocchia e scrive per tutta la vita”, secondo la definizione dell’artista. Alla base troviamo l’iscrizione LIVIUS PATAVINUS.

Nel 1937, fu allestito al terzo piano del palazzo il Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, che tuttora conserva importanti testimonianze scultoree dell’antichità e rinascimentali. Di rilievo i ritrovamenti archeologici che risalgono al tempo degli etruschi, dei greci e dei romani. Nei sotterranei del Liviano sono presenti anche dei rifugi antiaerei, che non sono mai stati utilizzati. Il 22 aprile 1978, il Professor Ezio Riondato fu ferito da un colpo di pistola ad una gamba mentre entrava in classe al Liviano. L’attentato venne rivendicato dai Comitati Comunisti Combattenti. Sul luogo dell’attentato è ora presente una targa in ricordo.

La Sala dei Giganti

Procedendo lungo la scalinata di sinistra si arriva alla celebre Sala dei Giganti, un tempo chiamata “Sala degli Eroi”. E’ una delle più importanti sale del palazzo, da sempre legata alla storia di Padova, chiamata così per via dei suoi affreschi che rappresentano in grandezza naturale eroi e grandi personaggi dell’antichità. La splendida decorazione si può ammirare lungo una parete di  37 metri,  larga 17,50 e alta 9 metri. Le origini della Sala risalgono però ad un’epoca anteriore al 1379, anno in cui Lombardo dalla Seta terminò il riassunto del “De viris illustribus”, una raccolta di biografie di uomini illustri composta da Francesco Petrarca a partire dal 1337 e dedicata a Francesco da Carrara, signore di Padova, nel 1358. Le biografie servivano da fonte per compiere i ritratti che avrebbero dovuto abbellire la Sala. Nel 1374, in seguito alla morte di Petrarca, ai 36 personaggi ritratti da Guariento, Jacopo Avanzi, Altichiero da Zevio e Ottaviano Prandino, fu aggiunta anche la sua immagine. Distrutta da un incendio all’inizio del XVI secolo, la Sala fu completamente rinnovata nel 1540 dal Capitano veneto Gerolamo Corner. I nuovi dipinti realizzati da Domenico Campagnola, Stefano dall’Arzere e di Girolamo Gualtieri mantennero il tema dell’esaltazione degli eroi anche se tra i personaggi ritratti nel Trecento, l’unico salvato, sebbene ampiamente ridipinto, fu quello raffigurante Petrarca nel suo studio.

La sala si presenta con una forma pressoché trapezoidale: infatti, i due lati finestrati hanno lunghezze differenti così come la parete nord risulta “spezzata” e leggermente rientrante nella metà rivolta verso est. Le decorazione realizzate lunghi i lati sono ritmati da una possente griglia architettonica dipinta ad imitare un colonnato con alti plinti decorati con finte specchiature marmoree; al suo interno si alternano nicchie coronate da festoni di verzura ed ampie aperture a fondo vuoto o con paesaggi campestri e collinari resi con semplicità. All’interno di questa partitura si inseriscono i diversi uomini illustri, a grandezza naturale, ognuno indicato con il suo nome latino. Ciascun personaggio è rispettivamente accompagnato da un elogium latino in prosa, in cui vengono ripercorsi i punti salienti della sua biografia, così come da un pannello a monocromo, che illustra ed integra alcune delle vicende sopra narrate, collocati entrambi nel basamento sottostante le figure. Il colonnato sorregge un architrave, sormontato a sua volta da un elaborato fregio continuo in cui, tra foglie d’acanto e girali vegetali, si inseriscono delle figure maschili e femminili di dimensioni nettamente minori rispetto ai Giganti, rese a grisaille. Esse rappresentano diverse divinità del pantheon greco-romano così come allegorie delle virtù cardinali e teologali, connesse tra loro da una ricca simbologia che attinge tanto alla tradizione classica quanto al neoplatonismo di matrice rinascimentale. In questa successione compaiono anche le riproduzioni dipinte di diversi stemmi araldici, tra cui si riconoscono in particolare quello della famiglia Corner e quello della casata imperiale d’Asburgo. Lo schema architettonico si semplifica lungo le pareti corte, dove permane solo il fregio mentre il colonnato viene a scomparire. Sui pilastri tra un finestrone e l’altro, lungo i lati minori, trovano posto inoltre alternativamente due leoni marciani in posa araldica, lo scudo a croce rossa su campo bianco della città di Padova e lo stemma del doge dell’epoca, Pietro Lando. Merita una menzione di pregio anche il soffitto ligneo a cassettoni, caratterizzato da cornici a treccia che inquadrano rosoni in pannelli ottagonali, pannelli rettangolari decorati con intrecci vegetali, mascheroni, grottesche e pannelli quadrati con volti umani ritratti di profilo, di chiara ispirazione numismatica.

La Sala ospita in tutto 50 Uomini Illustri, inseriti in un quadro temporale che va dalla fondazione di Roma fino all’epoca prerinascimentale, anche se non sempre i protagonisti si susseguono rispettando l’ordine cronologico di esistenza. Sui lati lunghi trovano posto 44 uomini di governo, appartenenti alla sfera politica e civile della storia romana; si suddividono a loro volta in 16 re ed imperatori, isolati all’interno delle nicchie, e 28 uomini della Repubblica, collocati nei vani aperti a gruppi di due o di tre. Questa porzione del ciclo si apre con la figura di Romolo, collocata all’estremità occidentale della parete nord, e si conclude con Carlo Magno, allo stesso angolo della parete opposta. Sulle pareti corte invece si trovano 6 uomini di lettere, appartenenti all’epoca antica e a quella moderna e tutti particolarmente significativi per la storia di Padova. Ad eccezione dei letterati, la maggioranza dei Giganti indossa abiti militari, in virtù delle imprese militari a cui sono legati i loro nomi, ed esibisce uno o più attributi che trovano risonanza con le stesse. Rispetto al ciclo di età carrarese, che constava di 36 uomini illustri (4 re di Roma, 24 uomini della Repubblica, 5 uomini dell’impero e 3 condottieri esterni alla storia romana ovvero Alessandro Magno, Pirro e Annibale) quello commissionato da Girolamo Corner risulta sensibilmente ampliato.

Nei primi due secoli di dominazione veneziana la Sala fu utilizzata come spazio di assemblea e riunioni per le truppe che presidiavano la città. Essa inoltre aveva delle precise funzioni connesse all’Università: nel Cinquecento tra le sue pareti si ospitavano feste per gli studenti dell’Ateneo. Inoltre, dal 1632 al 1912 fu qui allestito il primo nucleo della Biblioteca Universitaria, poi trasferita in via San Biagio. Nell’estate del 1922 un uragano ruppe le finestre della sala, che per alcuni anni rimase in stato di abbandono. La sala ha subito nel tempo diversi restauri, il più recente dei quali, concluso nel 2008, ha riportato gli affreschi al loro splendore iniziale. Attualmente è utilizzata per convegni, conferenze e concerti.

La Sala apre alle visite guidate nei giorni feriali per i gruppi solo su prenotazione e in base alle disponibilità della Sala stessa

Centro prenotazioni: 049827.3939 – tour@unipd.it

Le visite sono possibili dal lunedì al venerdì (non festivi). Punto d’incontro: atrio di Palazzo Liviano (piazza Capitaniato 7).
Attenzione: non sono prenotabili tour di visita qualora la sala risulti occupata da eventi, convegni, concerti.

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