Tomba di Antenore

Antenore è la leggendaria figura del fondatore della città, dove arrivò nel 1185 A.C., risalendo il corso del fiume Brenta. Secondo le narrazioni di Virgilio nell’Eneide e del padovano Tito Livio, egli fuggì come Enea da Troia in fiamme portando la famiglia lungo le coste dalmate fino alla foce del Brenta, che risalì fino agli insediamenti degli Euganei. Qui consultò un oracolo che gli pronosticò la fondazione di una grande e ricca città. Per trovare il luogo esatto dove insediarsi avrebbe dovuto scoccare una freccia verso degli uccelli in volo: la città di Padova sarebbe nata nel luogo dove fosse caduto l’uccello morente.

La leggenda vuole che alla fine del ‘200 una scrofa, che grufolava vicino al ponte di Santo Stefano, riportò alla luce una gamba umana, coperta da peli, che usciva da un sarcofago, all’interno del quale, assieme ad altre parti del corpo, fu trovata una spada con la scritta “Hic iacet Antenor Patavine conditor urbis” e due vasi di monete d’oro.

E’ la città medievale del tempo che si inventa un mito fondativo, riprendendo l’intuizione di Tito Livio che vuole Patavium, “città sorella” di Roma accomunata dalla stessa origine troiana. Ad attribuire che i resti erano del principe troiano Antenore, all’epoca fu chiamato il giudice Lovato Lovati, famoso poeta e studioso preumanista.

Sul lato nord dell’edicola, sopra la tomba si vedono ancora oggi due iscrizioni che ricordano l’evento, la prima in due distici elegiaci e probabilmente scritta da Lovati stesso:

Cum quater alma Dei natalia viderat horrens

Post decies octo mille ducenta Caper

Extulit hec Padue preses cui nomen Olive

Cognomen Circi patria Floris erat.

Protestate nobili viro domino

Fantone de Rubeis de Fiorentia

Perfectum fuit hoc opus.

Sul lato ovest invece si legge bene la poesia di Lovato, scolpita nella pietra in maiuscola gotica:

Inclitus Ant(h)enor patriam vox nisa quietem

Transtulit huc Enetum Dardanidumq(ue) fugas,

Expulit Euganeos, Patavina(m) (con)didit urbem,

Quem tenet hic umili ma(r)more cesa domus.

 

“Il glorioso Antenore, voce tesa alla pace della patria,

Scortò qui la fuga degli Eneti e dei Troiani,

Scacciò gli Euganei, fondò la città di Padova.

Lo custodisce qui una dimora, ricavata da umile marmo”.

La costruzione della tomba, che oggi fa bella mostra di sé nell’omonima piazza di fronte alla Prefettura, fu iniziata a fine Dicembre 1283. Secondo un’antica tradizione, dovrebbe contenere le spoglie del mitico fondatore di Padova, ma la  leggenda fu smentita nel 1985 quando, in occasione del restauro e con la riapertura dell’arca, fu trovato uno scheletro mummificato appartenente ad un guerriero vissuto tra il III e il IV sec. d.C..  La Tomba fu spostata nel corso del tempo, in seguito alle trasformazioni della zona, come l’interramento della riviera e del Ponte di San Lorenzo, e ritrovò la sua originaria collocazione nel 1937, quando la demolizione della Chiesa di San Lorenzo portò alla creazione dell’attuale Piazza Antenore. Per protegge l’arca originaria fu costruito un mausoleo di foggia medievale con la copertura a trullo, che fu realizzato probabilmente da Leonardo Bocaleca. 

Vicino al sarcofago del mitico fondatore della città troviamo un’arca minore che contiene le spoglie del poeta Lovato Lovati, morto nel 1309. Anche quest’ultima tomba subì alcune modifiche, all’inizio fu sepolto all’interno della Chiesa di San Lorenzo che fu sconsacrata nel 1808 e demolita nel 1937 assieme ai fabbricati circostanti, e nel 1942 fu ricollocata nell’attuale Piazza del Santo. Durante gli spostamenti del sepolcro le spoglie del letterato sono andati persi.

Sul lato est-ovest della tomba è stato inciso:

T(umulus) Lovati Paduani militis iudicis et poete /

Obiit anno nat(ivitatis) Chr(ist)i M CCC Nono Septimo die intrante Marcio

Tumulo di Lovato padovano milite, giudice e poeta /

Morì nell’anno 1309 dalla nascita di Cristo, il settimo giorno entrante marzo.

Molto più interessante invece è l’iscrizione al lato nord, una poesia composta da Lovato stesso prima della sua morte. Non è facile da leggere, perché le lettere sono corrotte dal tempo:

Id quod es, ante fui, quid sim post funera, queris;

quod sum, quicquid id est, tu quoq(ue) lector eris:

Ignea pars celo, cese pars ossea rupi,

lectori cessit nomen inane Lupi. D(is) M(anibus).

Mors mortis morti mortem si morte dedisset,

hic foret in terris aut intege[r] astra petisset.

Sed quia dissolvi fuerat sic iuncta necesse,

ossa tenet saxum, proprio mens gaudet in esse. V(ivens) F(ecit).

 

Ciò che tu sei, prima io fui, che cosa io sia dopo la morte, cerchi di sapere;

ciò che io sono, qualunque cosa sia, tu pure lettore sarai.

La parte ardente passò al cielo, la parte ossea alla pietra scolpita,

al lettore solo il nome insignificante di Lupo. Agli dèi Mani.

Se la morte della morte avesse dato morte alla morte tramite la morte,

Costui sarebbe sulla terra, o meglio, avrebbe ambito integro alle stelle.

Ma poiché le parti collegate dovevano così necessariamente dissolversi,

la pietra tiene le ossa e la mente si rallegra di essere nel proprio. Fatto da vivo.

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